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Il governo accelera sul "salva Napoli". Ma l'aiuto prevede il vincolo esterno
Pronti in legge di Bilancio almeno 100 milioni per le casse disastrate di Palazzo San Giacomo. Si prepara una legge cornice che varrà anche per Palermo e Torino nel 2022. Manfredi dovrà alzare imposte locali e dismissioni, rivedere il piano sulle partecipate e dismettere patrimonio
L’aiuto alla fine arriverà. Ma arriverà anche il vincolo esterno. I dettagli verranno definiti nei prossimi giorni, in un lavoro di cesello che è allo stesso tempo contabile e politico. Però, come gli hanno garantito anche i ministri Luigi Di Maio e Mara Carfagna due giorni fa di persona, nella legge di Bilancio Gaetano Manfredi troverà il regalo di Natale per la sua Napoli. Certo, non nelle forme e nelle dimensioni richieste, con la solita tattica negoziale dello spararla grossa per poter comunque incassare qualcosa, dai parlamentari partenopei. La più ambiziosa, in tal senso, è stata Valeria Valente, senatrice del Pd che s’è mossa d’intesa con la giunta napoletana per inserire nella Finanziaria un emendamento finalizzato a impegnare il Mef ad accollarsi integralmente mutui e prestiti obbligazionari “dei comuni capoluogo delle città metropolitane che abbiano già deliberato il ricorso alla procedura di riequilibrio finanziario pluriennale”. Si ritornerebbe insomma al modello del “salva Roma”, con lo stato che si prende in carico l’intero debito del comune. Costerebbe troppo e sarebbe difficile da spiegare ai sindaci che gestiscono amministrazioni virtuose.
Gli emissari di Manfredi ricevuti al Mef nei giorni scorsi se lo sono sentito dire chiaramente. Che il governo ha trovato una possibile soluzione per venire in soccorso di Napoli senza al contempo generare le rivendicazioni di chi, specie al nord, lamenterebbe indebite discriminazioni. Ma in cambio Palazzo San Giacomo dovrà impegnarsi a seguire un percorso rigoroso per il risanamento dei bilancio. Una sorta di Recvoery plan in scala nazionale, con tanto di coincidenze bizzarre: perché a dirigere oggi la segreteria tecnica del Pnrr è proprio quella Chiara Goretti che nel lontano 2014, da componente del commissariato alla spending review guidata allora da Carlo Cottarelli, predicava proprio l’esigenza di una severa verifica sull’effettiva utilità pubblica delle partecipate. E mercoledì, quando insieme a Di Maio e Carfagna è andata all’Università Federico II a illustrare il Piano nazionale di riforme, a sentir parlare del piano di rientro di Napoli dev’esserle scappato un sorriso. Anche da lì, si ripartirà. Dalla possibile dismissione o dall’accorpamento di alcune partecipate. E poi dall’impegno dell’amministrazione ad aumentare la riscossione dei tributi locali, ben al di sotto della media nazionale, innalzando anche le addizionali sulle imposte. Per ultimo, il punto su cui il Pd partenopeo resta più scettico: e cioè un piano di dismissione del patrimonio pubblico non valorizzato.
In cambio, Manfredi si vedrà assegnata una cifra ancora da definire, ma che s’aggira tra i 100 e i 150 milioni all’anno per i prossimi tre anni. Non molto, a fronte dei 5 miliardi di rosso del bilancio del comune. Ma comunque abbastanza per “dare un segnale”, come dice l’assessore Pier Paolo Baretta, che gestisce le casse disastrate di Palazzo San Giacomo con veneta acribia.
D’altronde quello di Napoli sarà un esperimento decisivo anche per altre amministrazioni in affanno su conti. E qui sta la portata politica dell’intervento. Perché il sostegno finanziario alla giunta Manfredi avverrà all’interno di una “norma cornice” che sarà poi valida anche per altre città metropolitane sull’orlo del dissesto. E dunque si partirà da Napoli per arrivare, ad esempio, anche a Palermo e soprattutto a Torino, il cui neo sindaco, Stefano Lo Russo, il 24 novembre scorso è stato ricevuto a Palazzo Chigi dal sottosegretario alla Presidenza, Roberto Garofoli. Ha ricevuto rassicurazioni sulla volontà di supportare il capoluogo sabaudo coi conti disastrati, meno certezze riguardo ai tempi.
E del resto ci si muove con cautela, a Via XX Settembre. Perché, oltre che per i problemi di natura finanziaria, il salvataggio dei comuni in predissesto è un’operazione delicata anche sul piano istituzionale. L’ultimo aiuto concesso a Reggio Calabria è stato contestato dalla Corte dei conti, e di lì si è innescato un contenzioso che è stato risolto dalla Consulta, che ritenne di fatto incostituzionale quell’intervento d’emergenza. A presiedere la suprema corte, in quel marzo 2020, era una certa Marta Cartabia. Che predicherà cautela, ora, ai suoi colleghi di governo.