L'esclusiva
Roma, guerra Pd per le nomine. Gualtieri: "Decido io, non Bettini". E lui: "Finirai come Marino"
Scontro in Campidoglio per i nuovi assetti delle società: dal teatro dell'Opera all'Auditorium. Sono 82 gli enti partecipati dall'amministrazione: così cambia il potere in città
Otto giorni fa in Campidoglio la riunione con Franceschini e Zingaretti per decidere i nuovi cda delle società della Capitale. L'ex ministro dell'Economia stoppa l'ideologo: "Sono io il sindaco". La risposta in una lettera al primo cittadino: "Ingrato"
“Il sindaco sono io, non Bettini”. Campidoglio, otto giorni fa, tarda mattinata. Al piano nobile del Palazzo è in corso una riunione ai massimi livelli. I nuovi re di Roma, tutti del Pd, sono seduti intorno a un tavolo per parlare di nomine. Il mejo potere ha fame. Ha fretta di cancellare i cinque anni di M5s nei gangli dei grandi enti partecipati dal comune. Una miriade di caselle da riempire. Dal dopo Fuortes al Teatro dell’Opera fino all’Auditorium. “Ecco per l’Auditorium – interviene Albino Ruberti, capo di gabinetto del comune – c’è il nome segnalato da Goffredo”.
Gualtieri, con un’insolita verve, lo fulmina: “Decido io, non lui”. Dieci persone ascoltano e riferiscono tutto a Bettini. Questa storia inizia qui.
L’uscita di Gualtieri contro Bettini cade davanti agli occhi esterrefatti dei presenti. Non proprio pivelli. Eccoli, tutti in fila: il ministro della Cultura Dario Franceschini, il governatore del Lazio Nicola Zingaretti, l’assessore alla cultura Miguel Gotor, il deputato del Pd Claudio Mancini, il potentissimo segretario generale del ministero della Cultura Salvo Nastasi. E poi ci sono i “tecnici” che stanno lì con il foglio bianco davanti a scrivere “questo va di qua, quest’altro va di là”. Ci sono Andrea Cocco, vicecapo di gabinetto di Zingaretti e Albino Ruberti, arrivato in prestito dalla Regione Lazio. In ballo: le scatole magiche di Roma. Consigli di amministrazione, presidenze di società partecipate che fatturano milioni di euro e clientele. Il potere. I teatri, il PalaExpo, musei come Macro, Eur spa, l’Auditorium, Zètema. In tutto sono ottantadue le società, di primo e secondo livello, dove il Comune ha voce in capitolo. E’ il modello Roma: rapporti, relazioni trasversali, aperitivi, salotti, vernissage, favori. Un sistema di potere di cui Bettini è stato l’architetto per venti anni. Come dimostrano i partecipanti alla grande festa di compleanno, rivelata dal Foglio, un mesetto fa.
Ecco perché la battuta di Gualtieri diventa una bomba atomica sganciata fra quattro mura. La riunione finisce male. C’è chi difende il “monaco del Pd”, diventato nel frattempo anche il sommo ideologo dell’alleanza rossogialla. E’ l’uomo che sussurra, fra gli altri, a Giuseppe Conte, ma che riceve anche Luigi Di Maio nel suo piccolo appartamento in Prati. E la stoccata del sindaco piomba subito nello spoglio bilocale di “Goffredo”. Che la prende malissimo. E’ stato umiliato davanti al gotha del Pd, ragazzi che ha cresciuto. E sulle nomine per giunta. Che affronto. E’ venerdì 26 novembre, ma per Bettini è un 25 luglio: si sente tradito, messo da parte con una battuta che è peggio di un ordine del giorno firmato dai gerarchi.
Lo sfregio è arrivato dal sindaco “che ho fatto eleggere io”, si sfoga al telefono con tutti i partecipanti alla riunione che tentano di calmarlo. Ma non c’è verso. E’ una furia. “Stia attento Gualtieri: come ho fatto cadere Marino, dando il mio via libera, posso fare altrettanto con lui”, lo sentono urlare al telefono con almeno due fonti, consultate da questo giornale.
La tempesta è scoppiata. Il “ciclone thailandese”, lo chiamano così, è in azione. Gualtieri viene allertato. “Parlaci, Roberto: è fuori di sé”. E lui lo chiama, gli scrive, gli manda sms. Ma niente: Bettini non gli risponde. Non lo vuole più vedere né sentire.
“Il monaco del Pd” è un uomo del Novecento. Quando si arrabbia, come sanno tanti direttori dei quotidiani, prende carta e penna. O meglio: scrive lunghissime epistole. E così fa anche in questa occasione: manda una corrosiva mail al sindaco “ingrato”. Una lettera, insomma, che al di là del “caro Roberto” iniziale è piena di rabbia e orgoglio ferito. E’ densa di retorica, con passaggi violentissimi, salvo poi riprendere i tornanti della dolcezza, della militanza tradita, degli ideali comuni. Chi legge la lettera in Comune rimane perplesso e sorpreso: “Goffry fa sul serio, aiuto!”. Viene incaricato allora Claudio Mancini, l’uomo delle nomine con gli appunti giusti e con i cognomi giusti per riempire le caselle del potere romano. Ma nemmeno un sapiente pontiere come il deputato del Pd riesce a placare l’ira funesta del padre del modello “Roma”. Scatta l’allarme rosso anche al Nazareno. Il fatto viene raccontato a Enrico Letta. Fino a ieri la frattura fra Bettini e Gualtieri non si era ancora ricomposta. Tutto il pacchetto di nomine per il momento è congelato. Gli ambasciatori sono in azione. Il Pd è al governo di Roma da quarantacinque giorni. Dopo sette anni di ferreo digiuno. E si vede.