La storia
Conte, il quasi candidato a Roma che manda in tilt il Pd e preoccupa Di Maio
Il leader del M5s attacca Renzi e Calenda: "Si fanno pubblicità sulle mie spalle, così il campo largo diventa un campo di battaglia"
Per il Nazareno era certo il sì al collegio nel centro della Capitale, poi il ripensamento dell'ex premier. E adesso tornano i sospetti sul voto anticipato dopo l'elezione del capo dello stato
Il quasi sì di domenica, diventa dopo dodici ore il “giammai: devo pensare alla scuola di formazione del M5s”. E così Giuseppe Conte torna nel cono d’ombra della “quasità”. Quasi premier, quando aveva Di Maio e Salvini come vice, e da mesi quasi leader di partito perché c’è sempre Beppe Grillo in mezzo che lo chiama “specialista di penultimatum”. Fino a domenica sera Conte è stato anche quasi candidato dei rossogialli nel collegio Roma 1 della Camera: l’Eldorado del Pd. A Letta, Zingaretti e Gualtieri aveva detto: ci sto. Ma quasi.
M5s, il no di Conte alle suppletive manda in tilt il Pd
Il presidente del M5s lo nega con forza: dietro al secondo rifiuto di candidarsi a Roma, dopo il no a Primavalle dello scorso ottobre, non c’entra la discesa in campo di Carlo Calenda in versione spauracchio (“vuole solo farsi pubblicità alle mie spalle”). E per di più con l’aggiunta del ritrovato amico-nemico Matteo Renzi (Conte è la colla del nuovo centrisimo: unisce l’impossibile). “Ringrazio il Pd e Letta per la disponibilità e la lealtà nella proposta, ma dopo un nuovo supplemento di riflessione ho capito che in questa fase ho ancora molto da fare per il M5s. Non mi è possibile dedicarmi ad altro”, spiega l’ex premier in conferenza stampa con cortesia e modi signorili. Salvo poi essere brusco e tradire, forse, le vere ragioni che lo hanno portato a dire di no a uno scranno strategico in vista dell’elezione del capo dello stato (a Roma si vota il 16 gennaio, a ridosso della grande partita del Quirinale). A Renzi e forse anche a Calenda, anche se non lo cita, manda a dire che “certe uscite sguaiate e saccenti” trasformano il lettiano campo largo di Letta “in un campo di battaglia”. Come dire: ci rivedremo alle elezioni con il maggioritario. Ma tiene banco il “no, non ci si sto” di Conte che sorprende il Pd perché fino a ventiquattro ore prima era un “vamos compañeros ”.
Invece? Addio Monti. Nel senso del collegio simbolo dei quartieri Ztl: Monti, ma anche Trevi, Testaccio, Trastevere e Prati. Domenica sera al matrimonio della viceministra Laura Castelli con Peppe Marici, portavoce di Luigi Di Maio, fra i tavoli si parlottava anche di questa novità uscita da poco sui siti. E il ministro degli Esteri confessava a Francesco Boccia e a Chiara Appendino che l’elezione di Conte alla Camera sarebbe stata una buona cosa perché avrebbe stabilizzato ancora di più la legislatura fino al 2023. E adesso: che succederà? “Al Paese serve stabilità. E Draghi ha ancora molto fare a Palazzo Chigi”, ripete il suo predecessore. Ma il vero snodo sarà l’elezione del presidente della Repubblica: il capo del M5s non siederà a Montecitorio (è stato dunque un quasi grande elettore). Ma promette che gestirà tutte le operazioni da fuori. Di più: assicura che il M5s sarà la forza più compatta del Parlamento. A dire il vero uno dei motivi per cui il Pd gli aveva offerto il seggio blindato e per cui l’ex premier aveva accettato (o meglio quasi) era proprio questo: stare nella mischia, senza dover telefonare a questo o quell’altro, per evitare scherzetti, franchi tiratori e strane manovre.
I riflessi sulla partita del Quirinale
Magari in apparenza fantascientifiche come la candidatura del Cav. “Che non sarà il nostro uomo per il Colle”, dice ancora Conte che con Letta ha in mente anche una strategia. Quando il centrodestra andrà su Berlusconi, Pd e M5s non parteciperanno al voto per fare in modo che il sogno impossibile si infranga subito davanti ai numeri. Ma manca ancora tempo alla grande conta. E il presidente del M5s adesso deve far metabolizzare questo incidente abbastanza clamoroso al Pd che esce da questa vicenda con le ossa rotte. Gioiscono Renzi e Calenda. Letta e Conte si sono parlati diverse volte. Il segretario dem si trovava a Parigi, quello del M5s a Roma alle prese con l’organigramma del partito (una novantina di nomine di cui Di Maio non era a conoscenza fino in fondo, nonostante sia il presidente del comitato di garanzia). Il capo dei grillini comunque aveva convocato questa conferenza stampa per annunciare il voto online giovedì e venerdì sui cinque vicepresidenti (la vicaria sarà Paola Taverna) e soprattutto su tutti i componenti dei tredici comitati che andranno a costituire l’ossatura del partito. Sono stati accontentati un po’ tutti i big e mezzi big (purché siano in regola con i pagamenti arretrati). Il deputato Sergio Battelli, anima critica, fa gli auguri a tutti ma non cita il capo. La partita del Quirinale si avvicina, il Pd inizia a pensare che il M5s, sotto sotto di questo passo, rischia di trasformarsi in un quasi alleato.