Mozione Maxibon

L'indispensabilità dell'avere Draghi al Quirinale spiegata al Financial Times e al gruppo Gedi

Claudio Cerasa

Chi manterrebbe Draghi nel ruolo che occupa non si rende conto di esporlo al logoramento. Senza di lui al governo l'Italia non ripiomberebbe nell'instabilità politica ed economica, né fallirebbe la sfida del Pnrr. Ecco perché sette anni di regia dal Colle sono meglio di uno da Palazzo Chigi

Per provare a ragionare senza troppi sofismi sul finale possibile della serie tv più interessante di questa stagione politica, parliamo ovviamente della magnifica “House of Colle”, può essere utile, per quelli più de coccio come si direbbe a Roma, rievocare il sofisticatissimo claim di una pubblicità divenuta famosa una trentina di anni fa, che per reclamizzare un gelato confezionato, formato da una parte biscottata e da una parte cioccolatosa, inventò una formula molto efficace, utilizzando un inglese maccheronico immediatamente comprensibile anche per gli affezionatissimi osservatori del Financial Times: “Du gust is megl che uan”.

 

Conviene partire da qui, dall’opzione Maxibon, per provare a spiegare ancora una volta, nel modo più semplice possibile, per quale ragione i sostenitori di Draghi che in buona fede si augurano che non vada al Quirinale per potergli lasciar fare a tempo indeterminato il presidente del Consiglio, come se stare a Palazzo Chigi fosse come essere un caporedattore alla Rai, stanno perseguendo un obiettivo che semplicemente va contro le loro stesse intenzioni. Le tesi del partito che sogna di lasciare Draghi dove si trova adesso (partito capitanato dal gruppo Gedi) sono state ben riassunte due giorni fa dal Financial Times: se Draghi dovesse essere eletto presidente della Repubblica, l’economia dell’Italia andrebbe in sofferenza, molti dei programmi inseriti nel Pnrr verrebbero interrotti e l’Italia tornerebbe a vivere in modo inesorabile in una bolla caratterizzata da una eterna “instabilità economica”.

 

La tesi è suggestiva, naturalmente, ma si scontra con una verità che, se ci si riflette un istante, è autoevidente: ma se Draghi incarna la stabilità dell’Italia, cosa vera, non è un’incoscienza assoluta spingerlo a restare nel palazzo politico più instabile del paese? Di fronte a questa argomentazione, il partito che sogna di tenere saldo Draghi a Palazzo Chigi – e che probabilmente ignora il fatto che (a) quel che Draghi poteva fare lo ha fatto, che (b) lasciare Draghi a Palazzo Chigi nell’anno preelettorale significa trasformarlo in un premier ostaggio dei capricci dei partiti e che (c) affidarsi al risultato delle prossime elezioni sperando che queste rimettano Palazzo Chigi nelle mani di Draghi significa, dopo due anni di pandemia, non aver ancora afferrato bene il concetto di “rischio ragionato” – ribatte sostenendo che l’elezione a presidente della Repubblica equivale più o meno a utilizzare l’opzione Quota 100 per mettersi in pensione prima del dovuto e afferma in modo  stizzito che Draghi dal Quirinale non potrebbe fare altro che osservare con il binocolo l’evoluzione della politica italiana. Tesi anche questa interessante, che tuttavia non tiene conto di una verità deducibile non dalla complicata lettura dei retroscena, ma dalla agevole lettura della Costituzione, che all’articolo numero 86 offre al capo dello stato una serie di pieni poteri non previsti per chi va ai giardinetti.

 

Un piccolo ripasso. Il presidente della Repubblica nomina il primo ministro (non male), nomina e revoca i ministri (può tornare utile), può chiedere al primo ministro di presentarsi alla Camera dei deputati per verificare la sussistenza del rapporto di fiducia (non si galleggia), autorizza la presentazione alle Camere dei disegni di legge di iniziativa del governo (niente sciocchezze), promulga le leggi (vi tengo d’occhio), emana i decreti aventi valore di legge (sta mano pò esse fero e pò esse piuma), indìce le elezioni delle Camere (i tempi li decido io), dichiara lo stato di guerra (con Quota 100 non si può), ha il comando delle Forze armate (come ai giardinetti), presiede i Consigli superiori della magistratura ordinaria e amministrativa (che volendo si possono anche far funzionare). Se la stabilità dell’Italia passa dall’avere un Draghi stabilmente alla guida del paese per più tempo possibile la mozione Maxibon è quella vincente: du gust is megl che uan e sette years is megl che uan.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.