Beati i paesi che possono permettersi uno sciopero

Claudio Cerasa

Lo sciopero di Cgil e Uil è contraddittorio nella forma, discutibile nella tempistica e incomprensibile nella sostanza, ma contiene anche un aspetto incoraggiante: rappresenta un passo in avanti nella nuova normalità

Ci sono due modi diversi, ma non per questo alternativi, di prepararsi come si deve alla strana giornata che vivrà l’Italia tra ventiquattro ore. La giornata di domani, come si sa, sarà dominata da uno sciopero generale, un po’ pazzo, convocato da due sindacati importanti come Cgil e Uil e le ragioni per cui lo sciopero appare quantomeno bizzarro sono diverse e autoevidenti. La prima ragione riguarda l’assurdità di uno sciopero convocato contro una manovra che per la prima volta da molti anni a questa parte è espansiva e che oltre a stanziare otto miliardi per abbassare la pressione fiscale va a destinare un miliardo in più al Reddito di cittadinanza, otto miliardi all’assegno unico, quattro miliardi agli ammortizzatori sociali e tre miliardi per contenere l’aumento delle bollette.

 

I sindacati, legittimamente, dicono, senza spiegare come, che il governo avrebbe dovuto fare molto di più contro le diseguaglianze (anche se dovrebbe essere ormai chiaro che per ridurre le diseguaglianze prima di pensare a come redistribuire la torta bisogna occuparsi di crearla la torta) ma le loro rivendicazioni appaiono confuse nella forma (manca una bandiera), incomprensibili nella sostanza (la Cisl ha scelto di rompere l’unità sindacale anche per questo), contraddittorie nell’esecuzione (avete mai visto uno sciopero contro un governo convocato da sindacati che nel comunicato ufficiale con cui annunciano lo sciopero ringraziano il presidente del Consiglio per il lavoro svolto?) e discutibili nella tempistica (gli assembramenti pericolosi in tempi di pandemia sono solo quelli fascisti?).

 

A tutto questo poi andrebbe aggiunto un elemento di riflessione ulteriore che riguarda lo stile delle decisioni assunte recentemente dai sindacalisti che appare essere con molta frequenza ispirato più a uno spirito di miope autoreferenzialità (leggasi: desiderio di avere una visibilità mediatica) che a uno spirito di pura responsabilità (come è stato possibile che un sindacato che ha tra i suoi compiti quello di difendere la sicurezza sul lavoro si sia schierato contro?). E in questo senso, se vogliamo, l’adesione agli scioperi registrata negli ultimi mesi all’interno delle scuole parla più di ogni possibile editoriale (il 24 novembre, i dati di adesione allo sciopero del personale Ata sono arrivati al 2,3 per cento, due settimane dopo, il 10 dicembre, i dati di adesione allo sciopero indetto da Cgil, Uil e altre sigle è arrivato al 6,2 per cento).

 

Il primo modo per trattare lo sciopero di domani, dunque, è mettere insieme questi dati, e questi spunti di riflessione, per illuminare le molte ragioni che fanno dello strike di domani un blocco per molti versi incomprensibile. Il secondo modo per trattare lo sciopero, che è complementare a quello appena descritto, è osservare anche il bicchiere mezzo pieno di un paese che, pur essendo ancora in emergenza, pur essendo all’interno di una nuova ondata pandemica, pur essendo impegnato in sfide delicate come le terze dosi per gli adulti e le prime dosi per i bambini, si trova nella condizione tutto sommato invidiabile di potersi permettere persino uno sciopero che in questo momento pochi altri paesi in Europa potrebbero permettersi. Lo sciopero può far perdere la pazienza (un solo giorno di scuola fatto perdere ai bambini in un paese che ha perso fin troppi giorni di scuola durante la pandemia può far saltare i nervi), può essere convocato per ragioni sbagliate (“questo sciopero è incomprensibile”, ha detto due giorni fa Luigi Sbarra, leader della Cisl), può essere persino autolesionista (la fase “se Draghi chiama siamo pronti a tornare al tavolo” pronunciata dal leader della Uil, Pierpaolo Bombardieri, somiglia molto al famoso “Si tu reviens, j’annule tout” inviato via sms da Nicolas Sarkozy alla sua ex moglie, Cécilia Attias, poco prima del matrimonio con Carla Bruni).

 

Ma in fondo lo sciopero, per un sindacato, resta il suo principale strumento di contrattazione, e l’idea che un governo e un sindacato possano tornare a battagliare in campo aperto è a suo modo un piccolo passo nella nuova normalità: beato il paese che se lo può permettere.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.