Più shopping che sciopero

Lo sciopero generico. Cgil e Uil protestano contro il governo Draghi ma tifando Draghi

Tra Bombardieri e Landini c'è ormai la stessa competizione che a destra c'è tra Salvini e Meloni

Carmelo Caruso

Scanzonato, allegro, tanto da non sembrare neppure uno sciopero, ma solo l'occasione per fare shopping. Bombardieri supera Landini e Landini si rifugia nell'antifascismo. A Roma, a Piazza del Popolo, il primo sciopero "e però"

E’ stato magnifico. Non è stato uno “sciopero”. Era infatti “generale”, ma la presa di distanza, il “non siamo contro Draghi ma contro il  governo” che è  come urlare “lotta al padrone ma con amore”. Verrà  ricordato come lo “sciopero e però”, i baci e i palloncini di Cgil e Uil al posto delle pinze e delle presse, green pass e mascherine perché “compagni! Distanziamento!”. Ieri, a Roma, a piazza del Popolo, il tesserato Luigi, Uiltucs, non voleva fermare il mondo ma “fermarsi a fare acquisti in via del Corso”.


Aveva dunque ragione Mario Draghi a non temere questo “non sciopero”, la contestazione più generica che generale. Con Alessandro Pinci “ciociaro”, ed ex segretario comunale, oggi pensionato Uil, si sorrideva pensando a quelli degli anni 70 (“ho iniziato a fare picchetti a scuola contro il preside di destra”) che erano lontanissimi da questo che è sicuramente il più astratto degli ultimi grandi scioperi tanto da avere come slogan “insieme per la giustizia” che, e si scherzava ancora, “rimane inafferrabile come le nuvole”. Nessuno, neppure il Capitale, è riuscito a rompere l’unità: tutta la piazza era compatta nel decretare che il gadget più originale fosse quello della Flai-Cgil.

 

La categoria dei braccianti ha dettato la moda regalando 400 cappelli di paglia, quelli che indossava il contadino Olmo nel “Novecento” di Bernardo Bertolucci. La Uil pensionati ha risposto con il poncho blu identitario “sempre utile in caso di pioggia”. La Fiom si è voluta, giustamente, distinguere. Ha preferito il berretto di cotone sintetico con la sua “ruota dentata” che fa parte della storia dei loghi italiani insieme a quelli disegnati da Bob Noorda (“Una vita nel segno della grafica”, Lazy dog). I partiti non c’erano ma Sandro Ruotolo sì, e anche Nicola Fratoianni così come Stefano Fassina che individuava il problema nella composizione del governo Draghi che “non ha come priorità i lavoratori” anche se “Draghi deve portare la legislatura a termine”. In pratica erano in piazza contro il governo ma augurando al premier, come confidava Franco Colomba di Reggio Calabria, di “andare al Quirinale o mal che vada di rimanere a Palazzo Chigi”.

 

La grande frattura sindacato-esecutivo veniva composta con l’annuncio del segretario Maurizio Landini che anticipava: “Il governo ci ha convocato lunedì per discutere della riforma delle pensioni e ovviamente noi ci andiamo”. Come è possibile organizzare uno sciopero generale ma s-confederato e senza la Cisl? E’ immaginabile lo sciopero senza i pugni chiusi, ma con l’iPhone, quello di nonna Almerina, iscritta alla Fiom Lucca: “Faccio una stories per i miei nipotini, la condividi?”.

 

Come si può fare paura “al presidente Bonomi che si è definito triste”, ricordava sul palco Bombardieri, senza la tuta stropicciata e gli occhi rossi e i capelli in disordine? Sono scesi a Roma Termini, pensionati, cassaintegrati dalla Calabria, tre bus con i licenziati della Gkn che avevano tutte le ragioni tanto da offrirne un pezzo anche a chi in verità non le aveva.

 

Il più simpatico era senza dubbio Antonello del “Movimento degli uomini casalinghi”. La sua teoria, condivisibile, è che gli uomini siano degli incapaci e che solo le donne possano governare. Il grosso della “base” è partito dalla Toscana e al solito c’erano “i nonni Italia”, gli anziani con gli occhiali spessi e i fazzolettoni al collo perché “sa, alla mia età…”. Si sono disposti in piazza suddivisi per colore, il blu (la Uil da una parte) e il rosso Cgil (dall’altra) che sfumava in arancione-amaranto. Sono i colori della Fiom e del Partito comunista dei lavoratori ancora guidato dal segretario-generale Marco Ferrando arrivato per rivendicare che “questo sciopero è del tutto inadeguato”, che “la Cgil è ormai un sindacato organico” mentre “Landini un uomo che ha fatto una carriera accelerata passando dalla sinistra sindacale fino a diventare un campione della burocrazia”.

 

Ed è la stessa opinione dell’operaio Alessandro Babboni di Piombino. Fa parte dell’altra Cgil, quella di Eliana Como che, racconta sempre il compagno Babboni, sarebbe “l’erede di Giorgio Cremaschi niente a che vedere con il Landini di oggi che si è piegato al Pd”. Gli applausi veri non sono infatti per il segretario della Cgil ma per quello della Uil, Bombardieri, che accomuna in un unico grande cartello: Calenda (“che fine hanno fatto i giovani che dovevi portare in piazza?”) i giornali (“ci hanno oscurato. Raccontano balle. E’ squadrismo negare il diritto allo sciopero”) e Fra Tuck. Tra loro due c’è ormai la stessa competizione che a destra c’è tra Salvini e Meloni, con il secondo che sta sopravanzando il primo, con Landini che ormai si rifugia nell’antifascismo come piattaforma: “Le sigle fasciste non sono state ancora sciolte! La politica non ha voluto!”. Ha orgogliosamente detto, combattendo la tosse, “che la protesta è dunque politica” e ha affastellato “astensionismo”, “condoni”, “evasione fiscale”, “delocalizzazioni”, ma senza mai nominare Draghi ma sempre chiamandolo “il presidente del Consiglio” e continuando a parlarne così rispettosamente che tutti si chiedevano “ma perché Draghi non è qui con noi?”.

 

Non avrebbe mai dovuto finire, o almeno mai con la canzone “La storia siamo noi” di Fiorella Mannoia. Questi scioperi generali non somigliano più a quelli di “Fontamara” o di “Metello” e forse non è neppure vero che non servano. Non si partecipa per alzare il salario ma perché arriva un momento dell’anno, e può cadere anche in primavera, che è molto simile al Natale. Per non restare da soli si preferisce cenare anche con degli sconosciuti. E fa bene. E’ solo una questione di poche ore.
 

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  • Carmelo Caruso, giornalista a Palermo, Milano, Roma. Ha iniziato a La Repubblica. Oggi lavora al Foglio