Chi sale al colle?
Draghi al Quirinale? Serve un'intesa tra Grillo e Berlusconi
Differenza tra Parlamento percepito e reale. Perché il prossimo capo dello stato nascerà più sull’asse di due prestigiatori come il comico e il Cav. che su quello illusionistico di Letta (17 per cento) e Meloni (4 per cento)
Sul pazzo e meraviglioso sentiero della successione a Sergio Mattarella, c’è un’incredibile illusione ottica che viene proiettata da mesi su ogni scenario che riguarda il futuro del Quirinale. Un’illusione che da qualche tempo a questa parte ha contribuito a deformare il percorso di questa competizione trasformando in protagonisti assoluti della partita politici che in realtà non toccheranno palla e marginalizzando invece soggetti che in questa partita un ruolo lo avranno e che sarebbe bene iniziare a studiare con attenzione.
La prima illusione ottica, tenera e spassosa, è quella che si è andata a produrre una decina di giorni fa in seguito al successo ottenuto da Giorgia Meloni alla festa d’Atreju e l’illusione è più o meno questa: l’idea che nella corsa al Quirinale vi sarà una inevitabile centralità di Fratelli d’Italia. Se si guardano i sondaggi, sempre che valgano qualcosa, la centralità di Fratelli d’Italia, nelle dinamiche del centrodestra, è un elemento oggettivo, per quanto ovviamente ci possa essere qualcosa di oggettivo nei sondaggi, ma se si va a giocare con il pallottoliere si scoprirà che in questo Parlamento il peso specifico di Fratelli d’Italia (4 per cento: 21 senatori e 37 deputati) in realtà è appena di tre volte superiore a quello di Leu (12 deputati e 6 senatori) e di poco superiore a quello di Italia viva (15 senatori, insieme con il Psi, e 27 deputati). Dunque, no: fare di Giorgia Meloni l’interlocutore strategico per decidere la partita del Quirinale non è una buona idea non per ragioni ideologiche (ah, l’onda nera) ma per ragioni pratiche (i numeri in Parlamento pesano più di quelli dei sondaggi). E dunque, passo successivo, lo stesso vale per il Pd di Enrico Letta, che, dicono i sondaggi, è accreditato essere oggi il primo partito d’Italia, ma che all’interno del Parlamento pesa circa il 17 per cento del totale (l’insieme dei deputati e dei senatori del Pd arriva a 132). Quindi, no: pensare che l’asse che andrà a determinare la costruzione della candidatura del prossimo capo dello stato sia quello costruito tra Meloni e Letta significa fare affidamento su circa il 20 per cento del Parlamento. E per quanto sia doloroso spingere il tasto rewind della politica italiana, se si torna al 4 marzo del 2018 e si rida una sbirciatina alla composizione iniziale di questa legislatura si capirà che, Draghi o non Draghi, non ci sarà nessun presidente della Repubblica che potrà essere eletto senza un accordo tra gli unici due leader della politica italiana che forse non si sono mai incontrati: Beppe Grillo e Silvio Berlusconi.
Grillo, lo ha raccontato Simone Canettieri sul Foglio, più volte nelle ultime settimane ha confidato ai suoi amici che per lui “Draghi è la persona giusta per il Quirinale”. E in questo strano gioco di specchi che è il Parlamento, dove il consenso dei gruppi parlamentari tra i grandi elettori sembra essere inversamente proporzionale al consenso che i gruppi parlamentari hanno tra gli elettori tradizionali, Grillo resta il vero collante del M5s e l’unico capace di offrire (giocando di sponda più con Di Maio che con Conte) una direzione possibile ai 233 grillini rimasti nel movimento (più di un quinto dei grandi elettori). Ma per farlo, per far sì che i propri voti possano avere un peso propositivo e non solo interdittivo nella battaglia quirinalizia, Grillo dovrebbe intestarsi l’idea lucida e saggia offerta ieri sul Corriere dal capogruppo della Lega alla Camera Riccardo Molinari: “Nelle prime tre votazioni, Draghi è il solo modo possibile”. E se l’idea di Grillo di mandare Draghi al Quirinale è sincera, come sembra, quando Berlusconi capirà che la sua partita per il Colle si può vincere solo senza scendere in campo, senza misurarsi con il suq dei grandi elettori e diventando lui il king maker di ogni operazione, il fondatore del M5s dovrà arrendersi alla realtà dei fatti: quale che sia il prossimo presidente della Repubblica, quel presidente nascerà più sull’asse di due prestigiatori come Grillo e Berlusconi che sull’illusionistico asse formato dal duo Letta-Meloni. Chi porta i popcorn?