il retroscena
Il Cav. manda un segnale a Draghi: "Per il centrodestra il candidato c'est moi"
Il vertice del centrodestra a Villa Grande. I regali alla Meloni che avverte: "Se ci spacchiamo sul Colle, la coalizione non c'è più". Salvini incontra Draghi e prova a fare ordine, ma nessuno riesce a indurre Berlusconi a un ripensamento. E così, sulla strada del Colle, il premier e il leader di Forza Italia per ora si scontrano
Si è già comprato un pezzo di parco dietro la villa. Lo ha mostrato ai suoi ospiti come si fa spalancando col braccio la visuale di una piccola meraviglia, lasciando prefigurare come sarà quando i lavori saranno terminati: le piante da sistemare, i giochi d’acqua che, soprintendenze permettendo, potrebbero essere aggiunti. Poi ha accompagnato l’allegra brigata tra i corridoi del piano nobile della casa, ha spiegato la ristrutturazione in corso: via i ninnoli e la paccottiglia che tanto piaceva al maestro Zeffirelli, ed ecco la carta da parati dorata, “come quella di Palazzo Chigi”. Istrionico, affabile, una parola buona per tutti. Se insomma i leader del centrodestra – Giorgia Meloni e Matteo Salvini su tutti – attendevano da lui una risposta a Mario Draghi, il Cav. non ha deluso: “Altro che ritirarsi”, spiegherà poche ore dopo Lorenzo Cesa. “Candidato? Candidatissimo”, ha assicurato il segretario dell’Udc. “E’ in forma strepitosa”, conferma Maurizio Lupi, presidente di Noi con l’Italia. E non è un caso che ci abbia tenuto proprio lui, Silvio Berlusconi, padrone di casa che oggi ha spalancato di nuovo i cancelli della sua Villa Grande ai maggiorenti del centrodestra, a certificare che “sì, evidentemente abbiamo parlato anche della mia candidatura al Colle”.
Insomma non si scompone, non per ora almeno, davanti al confronto col premier, e alle possibili tensioni che potrebbero derivarne. Anche quando Giorgia Meloni ha azzardato la nota più critica dell’incontro, sottolineando come un’eventuale rottura del centrodestra proprio nel bel mezzo della sfida quirinalizia sancirebbe la dissoluzione della coalizione, il leader di Forza Italia s’è premurato di riassicurare tutti che “la compattezza del centrodestra non è e non sarà in discussione”. E poi alla fine del pranzo – ravioli al burro e salvia, tagliata di manzo, e un mega babbà per dolce – alla presidente di FdI ha offerto due cortesie. La prima è stato il ricordarsi del suo apprezzamento per le pere al vino assaggiate a fine ottobre, e di offrirgliene dunque una intera confezione, formato extra large, da portarsi a casa per Natale. La seconda è stata quella di acconsentire che nel sibillino comunicato congiunto alla conclusione dell’incontro si inserisse il passaggio che alla Meloni stava più a cuore, e cioè che il “centrodestra affronterà unito tutti i prossimi appuntamenti istituzionali ed elettorali”. Una garanzia, per chi guida l’unico partito della coalizione che non sta al governo, che sul rodeo quirinalizio non verrà isolata.
Il che, ovviamente, vale per quel che vale, a un mese dalla scadenza decisiva. Perché poi tutti i commensali sanno che le mosse di ciascuno verranno decise nell’imminenza del voto di metà gennaio. Se è valso davvero a qualcosa, questo vertice prenatalizio sull’Appia antica, è stato il ribadire che la candidatura di Draghi non annulla né scoraggia, al momento, quella di Berlusconi. “Che è la candidatura dell’intero centrodestra, almeno finché il diretto interessato non dovesse tirarsi indietro”, ha riferito ai suoi Salvini dopo l’incontro. Lo ha detto con la serietà di chi sa che è sulle sue spalle che grava il peso della scelta che in tanti, nel centrodestra, valutano e vagheggiano, ma che nessuno s’azzarda a confermare. E cioè chiedere al Cav. se non pensi che sia meglio ripensarci, cedere il passo, ritagliarsi semmai il ruolo del king maker e intestarsi un nome più trasversale, più potabile per il centrosinistra. Salvini ovviamente attende che maturino gli eventi, e rinnova la fiducia al padrone di casa, e semmai nel corso del vertice ci tiene a far valere la sua confidenza col premier, incontrato in mattinata a Palazzo Chigi per parlare di pandemia, di Pnrr e di caro bollette. E lascia intendere anche, come riportando un’indiscrezione raccolta dallo staff di Draghi, che quel ribadirsi “uomo, anzi nonno, delle istituzioni” da parte del premier non presuppone necessariamente l’imposizione di una candidatura da prendere o lasciare, una minaccia di dimissioni in caso di mancata elezione al Colle. Ma sono chiacchiere, per ora, supposizioni. Il fatto è che Draghi sarà della partita, a gennaio. E il Cav., per ora, non è disposto a lasciargli campo libero.