In sei mosse Draghi presenta la sua candidatura al Quirinale
Il presidente del Consiglio offre garanzie e mostra pure un percorso. I partiti si spaventano, ma i guai risolti da un Draghi al Quirinale sono superiori a quelli creati. Indizi e traiettorie
Si è posto come il protettore d’Italia, il “nonno”, rassicurando, tranquillizzando, offrendo garanzie, dispensando saggezza, ma alla fine della giornata di ieri, giornata durante la quale Draghi ha di fatto messo al centro del dibattito politico la sua candidatura al Quirinale, in una giornata contraddistinta dal balzo dei decessi (146) e dei contagi (36 mila), la domanda che è naturale porsi rispetto al futuro del presidente del Consiglio è: ma se Draghi si propone come il protettore dell’Italia nei prossimi anni, chi si propone oggi come il protettore di Draghi nelle prossime settimane?
Riavvolgiamo il nastro e torniamo alla mattinata di ieri. La scena è quella della conferenza stampa di fine anno di Draghi, conferenza stampa che somigliava molto a una conferenza stampa di fine mandato, durante la quale ci sono stati almeno sei passaggi in cui il presidente del Consiglio ha lasciato intendere in modo molto chiaro la sua intenzione a candidarsi, a fine gennaio, come successore di Sergio Mattarella alla presidenza della Repubblica.
Il primo passaggio ha coinciso con la doppia affermazione fatta proprio all’inizio della conferenza stampa, quando Draghi, elencando gli obiettivi centrati dal governo negli ultimi dieci mesi – “abbiamo reso l’Italia uno dei paesi più vaccinati del mondo, abbiamo consegnato in tempo il Pnrr e raggiunto i 51 obiettivi” – ha messo di fronte ai cronisti la sua verità: mission accomplished, missione compiuta.
Il secondo passaggio, ancora più importante, è quello arrivato un attimo dopo, quando Draghi ha affermato che, una volta fatto il difficile, non sarà fondamentale avere un Draghi anche il prossimo anno alla guida del paese, perché “il lavoro può continuare indipendentemente da chi sarà premier”.
Il terzo inequivocabile segnale offerto dal presidente del Consiglio rispetto alle sue intenzioni future è racchiuso in due passaggi distinti, quando Draghi ha prima ribadito che, a prescindere da chi guiderà l’Italia il prossimo anno, “l’importante è che il governo sia sostenuto da una maggioranza come quella che ha sostenuto questo governo, la più ampia possibile” e quando Draghi, segnale numero quattro, si è posto una domanda che suona molto come retorica: “È immaginabile una maggioranza di governo che si spacca sull’elezione del presidente della Repubblica?”.
Il quinto segnale offerto da Draghi rispetto a quello che sarà verosimilmente il percorso che lo porterà a tentare l’avventura della scalata quirinalizia lo si ritrova in un’altra affermazione, più veloce ma non meno importante, che è quella fatta dal presidente del Consiglio al termine della sua conferenza stampa: “Gli italiani – ha detto il premer, sapendo che i parlamentari hanno a cuore il futuro del Parlamento almeno quanto il futuro del paese – tengono alla stabilità politica e i partiti lo hanno capito”.
L’ultimo segnale, offerto in risposta a una domanda del nostro Carmelo Caruso, è quello che riguarda il percorso che dovrà verosimilmente avere la scelta del prossimo capo dello stato. Domanda: in questo momento così difficile e inedito, la pandemia non dovrebbe essere uno sprone per eleggere il presidente della Repubblica in maniera veloce, rapida? Risposta secca di Draghi: “Sì, sono d’accordo con lei, completamente”. Dunque, sì, Draghi lo ha detto in modo chiaro. Non ha smentito la possibilità che sia lui a correre per il Quirinale, ha ricordato che sarebbe un’assurdità se questa maggioranza di governo si dividesse per la scelta del capo dello stato, ha affermato che la stabilità del Parlamento non è meno importante della stabilità del paese, ha lasciato intendere che il suo lavoro a Palazzo Chigi è finito, ha detto esplicitamente che nello scenario di sicurezza che si è andato a configurare l’importante sarà avere una maggioranza larga indipendentemente da chi sarà a guidare l’Italia da Palazzo Chigi e ha aggiunto, in un altro passaggio importante della sua conferenza stampa fiume, che il capo dello stato, come ha dimostrato Sergio Mattarella in questi sette anni, non solo dovrà essere preferibilmente eletto subito, nelle prime votazioni, ma non deve essere un notaio inattivo: deve essere un “garante”, deputato dunque non alla risoluzione delle contese tra partiti ma all’indicazione costante di una direzione per il paese.
Da ieri, dunque, la candidatura naturale di Draghi al Colle oltre che essere naturale è praticamente ufficiale, ma il dato interessante della giornata è che la formalizzazione della candidatura è stata accompagnata da una serie di preoccupazioni.
Preoccupazioni mostrate da Salvini (“preoccupano eventuali cambiamenti al governo”), dal M5s (“questo governo ha ancora molto lavoro da fare”), da Forza Italia (“l’azione del governo possa proseguire nei prossimi mesi con la necessaria continuità”), che tendono a illuminare un tema che promette di essere cruciale nelle prossime settimane: in che modo Draghi proverà a trasformare la fragilità dei partiti, e le microfratture di questa stagione politica, nel motore della sua candidatura al Quirinale. Salvo la coppia Luigi Di Maio e Giancarlo Giorgetti, un kingmaker per il Draghi quirinalizio al momento non c’è, ma quando Draghi si presenterà all’appuntamento con il voto per il Colle, per i partiti sarà molto più complicato ripetere ad alta voce il no bisbigliato ieri, e per tutti risulterà chiaro che un Draghi al Quirinale risolve molti più problemi rispetto a quelli che potrebbe creare.