Qui Arcore
"Sul Quirinale faccio sul serio. Draghi? Non è amato". Le convinzioni del Cav.
I dubbi su Renzi, centrale nella sfida del Colle. Salvini e Meloni confidano in un suo ripensamento, ma non osano chiederglielo. Il nodo delle prime tre votazioni
Berlusconi ci crede davvero, e fa sapere di non avere alcuna voglia di ritirarsi. Altro che "king maker", lui vuole fare la corona. I buoni contatti con Letta, Di Maio e Conte. Il capo di FI è convinto di avere 550 voti, di cui 150 dal Misto e dal M5s. Nel centrodestra c'è chi dubita
Più che i dubbi sul suo potercela fare, quel che lo indispone, che forse perfino lo indispettisce, sono i sospetti sul suo volerci provare davvero. “Guardate che io sul Quirinale faccio sul serio”, ripete allora il Cav. a tutti quelli che lo cercano, a quanti con la scusa degli auguri lo chiamano per avere dalla sua viva voce la conferma che sì, la candidatura è reale. “Certo che è reale”, conferma lui. “E’ reale ed è supportata, oltre che dalla logica della politica, dalla saldezza dell’aritmetica”. E da una percezione sul suo possibile peggior rivale, e cioè quel Mario Draghi che “non è abbastanza amato”. Insomma corre per vincere, Silvio Berlusconi.
E forse sarà vero quel che vari leader del centrodestra lasciano intendere: e cioè che a Berlusconi serve formalizzare la sua candidatura, affermarla, per poterla poi eventualmente ritirare, e far passare il tutto come estremo atto di generosità, di responsabilità. E però c’è un motivo se tutti gli ospiti che erano andati a Villa Grande, giovedì scorso, con la convinzione di poter aprire una crepa nella fermezza del Cav. ne sono invece usciti convinti del contrario, messi di fronte alla persistenza dell’ambizione. “No, non lo faccio solo per occupare la scena, per garantirmi la centralità nel dibattito sui giornali sotto le feste”, ha spiegato Berlusconi, che una simile lettura, un tale ridimensionamento del suo sogno quirinalizio, lo considera quasi offensivo. “Non lo faccio neppure per poi potermi sfilare e interpretare il ruolo del regista, del king maker”, ha puntualizzato, lui che semmai ama essere autore e attore protagonista, e non certo scrivere sceneggiature sontuose da affidare ad altri interpreti. E gli ultimi dubbi, se mai ce ne fossero ancora, il Cav. li fugherà dopo l’Epifania: e cioè quando, verosimilmente intorno al 10 gennaio, troverà il modo di ufficializzare la sua candidatura, il suo esserci.
Perché la politica, assicura Berlusconi, gioca dalla sua parte. Mario Draghi potrà rassicurare i leader di partito sulla sua ferma volontà di portare a conclusione naturale la legislatura, ma non riesce per ora a tranquillizzare il corpaccione degli anonimi parlamentari. Non di quelli, almeno, con cui ad Arcore si tengono contatti, diretti o mediati dai fidati ufficiali di collegamento. L’esercito dei peones ha paura che tutto precipiti, se il premier andasse al Colle; ed è anche su quella paura che il Cav. è convinto di poter costruire la sua candidatura: promettendo stabilità, un altro anno di pacchia tra Camera e Senato, la certezza della pensione che scatta a ottobre prossimo. E poi, come Berlusconi ha ripetuto a Matteo Salvini e Giorgia Meloni, a Maurizio Lupi e a Giovanni Toti e a Lorenzo Cesa la scorsa settimana nella sua villa sull’Appia antica, anche lui vanta ottimi rapporti coi leader del fronte avverso. Si sente spesso con Enrico Letta, anche per il tramite dello zio Gianni, e non a caso è dal segretario del Pd che di recente si è sentito riconoscere il titolo di “unico federatore del centrodestra”. Ce li ha con Luigi Di Maio e con Giuseppe Conte, che infatti si guardano bene dal riproporre certi toni, certe ingiurie, usate in passato per criticare e delegittimare il fondatore di Forza Italia.
E insomma è da qui che deriva il conforto dei numeri, anche a dispetto di alcuni azzardi, di una certa forse eccessiva confidenza nelle proprie certezze, se è vero che il Cav. dà sostanzialmente per acquisito un sostegno, quello di Italia viva, che invece Matteo Renzi si guarda bene dal certificare, anche a giudicare dalle dichiarazioni di ieri di Ettore Rosato, per il quale “Berlusconi non ha il consenso necessario, e non avrà il supporto di Iv”.
Come che sia, di voti il leader azzurro è convinto di averne a disposizione almeno 530, forse addirittura 550, “e almeno un centinaio, 150 perfino, arriverebbero dal mondo del Misto e del M5s”, replica il Cav. a chi lo mette in guardia dall’ostilità degli avversari. Quanto invece alla fedeltà degli alleati, più che la fiducia conta la tattica, secondo gli strateghi di cui Berlusconi si circonda. E dunque ad Arcore sono convinti che se se pure Meloni e Salvini, e con loro i capi centristi della coalizione, malignano che il Cav. non abbia la forza di affermarsi, in ogni caso nessuno di loro avrà la forza di spingerlo a ritirarsi anzitempo. E dunque le prime tre votazioni, quelle che richiedono la maggioranza trasversale dei due terzi di cui avrebbe bisogno Draghi per essere eletto come “presidente di tutti”, passeranno invano, col centrodestra che le diserterà in attesa della quarta. E tanto basterà, dunque, per impedire preventivamente l’ascesa del premier. Che del resto, secondo il fiuto di Berlusconi, è troppo algido per il ruolo di capo dello stato, “non è abbastanza amato”. E l’amore, si sa, per il Cav. trionfa sempre su tutto.