Verso il Colle

I capigruppo stanno con Draghi: "Sarà difficile non votarlo". Il vero nodo rimane il sostituto

Carmelo Caruso

Elogio della politica, rapporto costante con i capigruppo che si sentono "valorizzati" grazie a una strategia di "consultazione continua". Tra le carte a favore del premier c'è la variabile del "gruppo Draghi"

E’ nelle cose provare a ostacolarlo ma è sleale dire “non conosce i tempi della politica” e “con le sue parole ha commesso un grave errore”. Davvero Mario Draghi non merita questa claque, l’assembramento di “scienziati della forma”, questi apprendisti Gaetano Mosca, che, da mercoledì scorso, giorno della sua conferenza stampa, cerca di manipolare il suo omaggio al Parlamento e trasformarlo nell’ultimatum del presuntuoso.

 

Emendati dal testo del suo intervento, dimenticati per convenienza, sono saltati infatti tutti i riferimenti del premier sul ruolo della politica, gli apprezzamenti rivolti ai suoi ministri (politici), “e dunque non posso che ringraziare ancora…”. La verità è che a tutti, veramente a tutti i presenti, sembrava che Draghi quasi esagerasse nel complimentarsi con la maggioranza “fondamentale” anziché calpestare i “riti antichi e immodificabili dei partiti”.

 

Ha ripetuto “abbiamo conseguito tre grandi risultati”; “abbiamo consegnato in tempo il Pnrr”; “abbiamo creato le condizioni”, per aggiungere “è una maggioranza che voglio ringraziare molto” e, di nuovo, “fondamentale è stato il sostegno delle forze politiche”. C’era insomma, nell’utilizzo accurato del suo “abbiamo”, il riconoscimento di una politica che non è stata affatto deludente e che adesso gli rimprovera l’audacia del definirsi, a domanda, “nonno al servizio delle istituzioni”.


Non è vero allora che questa sua conferenza, che ancora viene studiata, sia stata “il prendere o lasciare”, il “senza di me cosa fate”, ma, al contrario, è stato il suo “io ci sono se servo ancora”. Raccontano che quando spiegava che il suo destino “è nelle mani del Parlamento” non lo facesse per aprire la sua campagna (non è forse da un anno che si è aperta?) ma solo per permettere ai partiti, ai leader, di raccogliersi, così come per eliminare un’altra delle obiezioni e delle presunte ambizioni, un prossimo ruolo in Europa, dove, ma questo lo dice un amico, “ha già dato tanto”.


Va quindi scacciata questa stupidaggine del presidente naïf, il nonno Candide, lo “straniero dell’emiciclo”. Si dovrebbe iniziare invece ad approfondire, e pesare, quella che è la novità ultra politica di Draghi, forse da risultare decisiva, il doppio rapporto che ha costruito tra leader-capigruppo. C’è un premier che riceve i segretari di partito, ma c’è n’è un altro che ha un rapporto solidissimo, nuovo, con gli uomini e le donne che reggono i gruppi parlamentari. Con alcuni il rapporto è precedente. Con tutti lo scambio “non è mai mancato”. Li ha convocati in ben due occasioni, senza i loro segretari, riconoscendo così la loro specificità. Dice uno di loro: “Ci ha restituito prestigio. Il prestigio di parlare con lui e a nostra volta spendere questo prestigio con i parlamentari che guidiamo. La variabile è parlare con Draghi. Poterlo fare ci ha elevato ai loro occhi”.

 

La prima volta li ha ricevuti prima di presentare il Pnrr, la seconda prima di presentare la legge di Bilancio. E’ un rapporto che è stato ormai “sigillato”, “ordinato e costante”. Viene chiamata da parte dei capigruppo “consultazione continua”. E’ favorita da due figure, e lo rivela ancora uno di loro, “che per  qualità e carattere sono finite per essere il vero motore dell’azione di governo, qui felicemente assortite”. Sono il capo di gabinetto, Antonio Funiciello, “l’orecchio” che, per ruolo, è l’“eccomi”, “approfondiamo”, “vediamo”, mentre l’altro è il “soprasegretario” Roberto Garofoli che per carica è il “facciamo attenzione”, “direi di no”, “bisogna studiare”.

 

C’è un errore che si commette ancora ed è parlare di Draghi come “tecnico” e, come in questi ultimi giorni, pensare che abbia aggirato la grammatica della politica o sostenere “ha dimenticato che si viene eletti dalle forze politiche”.


Il giorno successivo alla conferenza, si fa per dire, ha incontrato Matteo Salvini. In passato, per sette anni, ogni mese, da presidente della Bce, si è presentato di fronte al Parlamento europeo e si è confrontato con la commissione di Bilancio della Ue. Ecco perché, come pensa il “nostro” capogruppo, l’idea che “il Parlamento non lo voti in verità non esiste” e che oggi “tutto il Parlamento è consapevole che senza Draghi la legislatura finisce”. Dunque non è ostilità? “No. I leader stanno provando a dissuaderlo perché non hanno ancora individuato il sostituto”. Il nodo non è che si rischia di perderne uno ma che di Draghi ne servono ancora due.

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  • Carmelo Caruso, giornalista a Palermo, Milano, Roma. Ha iniziato a La Repubblica. Oggi lavora al Foglio