Il Quirinale ha poteri che farebbero di Draghi non un notaio ma un arbitro
La Costituzione è presidenzialista. Ecco perché il passaggio del premier al Colle non sarebbe un rischio repubblicano
Con un certo sopracciò, facendola insomma da padroni del sapere, costituzionalisti che non sono poi di tanto al di sopra delle grandi petulanze virologiche del momento, tutti esposti su giornali e tv nel loro Jingle Bells demoliberale, ci avvertono dei rischi tremendi di un presidenzialismo di fatto. Il fatto del presidenzialismo è che Draghi possa, da nonno o in altri ruoli nazionali poi lo vedremo, diventare capo dello stato, passando al Quirinale da Palazzo Chigi dopo un anno di accorto decisionismo, e limitato o autolimitato: la circostanza è considerata un rischio repubblicano.
Eppure il presidenzialismo di fatto è proprio e precisamente la dottrina costituzionale voluta o prefigurata in ogni dettaglio dai padri della Patria repubblicana, con il varo finale della Carta nel 1948. Guardate alla storia dei dodici e vedrete che lassù da dove si sovrintende la politica italiana si può essere galantuomini, predicatori colti e discreti, patrioti risonanti, politici di razza, profeti anche di sciagure, infine fornitori di miracoli.
Sergio Mattarella per esempio ha incardinato la sua popolarità, inaspettata anche per lui, sulla duttilità appunto miracolosa con cui i poteri che poteva e doveva esercitare gli hanno consentito di padroneggiare alla grande l’esplosione populista, il famoso governo del contratto, impedendo che si scassasse l’inserimento nell’euro del paese, tenendo a freno la demagogia minacciosa per il bilancio, contenendo fino all’intenibilità l’ondata farlocca e truce di odio contro gli stranieri e gli immigrati, ma sempre nei limiti di un protocollo presidenziale mai tradito e forzato.
E non fu facile passare, sotto la stessa guida di Conte, prescelto dal Quirinale stesso e dai suoi uffici, e difeso fino all’ultimo, alla grande operazione trasformistica rivelatasi in grado di cambiare integralmente la natura e gli orientamenti di un potere democratico che era stato virato in dittatura della demagogia e in richiesta dei pieni poteri, qualunque cosa questo volesse dire. Per arrivare infine al miracolo della missione Draghi, l’impensabile che tutti o quasi avevano covato come possibile, ma che solo a un presidente della Repubblica dotato di quel distaccato potere di esternazione, combinato con il concretissimo lodo di scioglimento delle Camere, era miracolosamente disponibile.
Mattarella è stato il culmine del presidenzialismo di fatto, e senza impicciarsi né farsi impicciare, un politico di sinistra cattolica esperto di governabilità, ma preso dalla riserva della Corte costituzionale all’epoca della sua elezione, ha esercitato quella decisiva influenza senza correre rischi repubblicani, anzi evitandoli, scansandoli accuratamente. Prima di lui Napolitano, eletto senza il voto di Berlusconi, portò all’esaurimento senza ribaltoni la logica dell’alternanza voluta dal maggioritario e incarnata dall’ultimo governo del Cav., stipulando infine, a maggioranza di centrodestra perduta, un patto per la salvezza finanziaria del sistema che portò, con il consenso dell’uscente, al cambio con Monti, che chiamava il fondatore di Forza Italia “il mio augusto predecessore” o giù di lì. Un altro caso illustre di presidenzialismo di fatto.
Tendiamo spesso, e i costituzionalisti di sinistra o semplicemente arcigni tenutari di una inerte tradizione arrivano sempre primi a questo traguardo, a considerare scemi gli autori della Costituzione cosiddetta più bella del mondo. Definirono il primato del legislativo stabilendo con l’articolo 68 della Carta che l’iniziativa giudiziaria contro gli eletti doveva essere autorizzata dalle Camere di appartenenza. Per l’essenza, l’articolo è stato abolito, il pendolo dei poteri è passato tutto dalla parte dei magistrati non eletti, tra fragorosi applausi, e la giustificazione risultò da internamento in ospedale psichiatrico per i padri costituenti: non avevano capito che quel primato poteva coprire episodi di corruzione incrementando la solidarietà di casta di deputati e senatori. In realtà avevano capito benissimo il rischio, perché stupidi non erano, e credevano che un primato di fatto del legislativo, nonostante i pericoli, fosse comunque meglio della fine della divisione dei poteri, con la loro naturale gerarchia.
Altrettanto vale per il presidenzialismo di fatto, che è la vera dottrina costituzionale riguardo i poteri del capo dello stato in Italia. Il Quirinale è controllato e limitato dal semestre bianco e dallo scudo dell’irresponsabilità politica, ma detiene poteri che in ogni campo ne fanno non un notaio dei partiti ma un arbitro e un garante interno e internazionale, anche in situazione di crisi dei partiti e di oscillamento della democrazia istituzionale. E’ il presidenzialismo di fatto, bellezza, e non puoi farci niente.