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Lezioni della pandemia: il salutare bagno di realtà di Orbán

Claudio Cerasa

Il capofila dei  sovranisti europei che ha costruito il suo mito combattendo l’Europa a colpi di complottismo ora sui vaccini deve combattere il complottismo che lui stesso ha alimentato

L’anno che si aprirà sarà dominato da tre elezioni molto importanti che andranno a scrivere alcuni capitali cruciali del futuro dell’Europa. La prima elezione, non propriamente politica, è quella che riguarda l’Italia, e ciò che accadrà nella partita a poker del Quirinale, visto e considerando quanto il destino del Recovery europeo è legato in buona parte al destino dell’Italia, avrà un impatto non solo sugli equilibri del governo italiano ma anche su quelli dell’Europa intera. La seconda elezione, sempre presidenziale ma non parlamentare come quella italiana, è quella che ci sarà ad aprile ed è quella che darà la possibilità a Emmanuel Macron di estendere la sua egemonia non solo sulla Francia, nei prossimi cinque anni, ma anche sull’Europa del futuro, ed è evidente che in un’Europa senza Merkel un Macron in grado di raddoppiare i suoi anni alla guida della Francia, mettendo insieme il consenso popolare e i poteri immensi derivati dal ruolo di presidente della Repubblica, potrebbe avrebbe una centralità superiore a qualsiasi altro leader del continente. Le terze elezioni, meno note ma non meno interessanti, sono quelle che riguardano un paese più periferico ma che ci dice molto sulla traiettoria imboccata negli ultimi mesi dall’anti europeismo e quel paese coincide con l’Ungheria di Viktor Orbán.

 

Rispetto a questa tornata elettorale, ciò che risulta utile da mettere a fuoco non riguarda il futuro di Orbán, anche se qualche settimana fa per la prima volta nella storia recente dell’Ungheria l’alleanza dei partiti di opposizione anti Orbán è risultata essere avanti nei sondaggi, ma riguarda alcune scelte che l’anti europeista Orbán è stato costretto a fare negli ultimi mesi per non perdere la faccia di fronte ai propri elettori. Tre in particolare.

La prima scelta è quella di trasformare una punizione inflitta dalla Commissione europea all’Ungheria in uno strumento di propaganda da utilizzare in campagna elettorale per dimostrare la crudeltà dell’Europa. L’Ungheria, come abbiamo già raccontato sul Foglio, ha scelto di non rispettare alcune promesse sottoscritte con la Commissione per accedere ai finanziamenti del Recovery, non raggiungendo i target prefissati in vari ambiti, dalle riforme finalizzate a rendere più efficiente il sistema giudiziario nella lotta alla corruzione, alla trasparenza degli appalti, passando per una revisione dei meccanismi di controllo sul modo in cui vengono spesi i fondi dell’Ue, e il risultato è che Orbán non potrà spendere subito una quota sostanziale delle risorse pre allocate al proprio paese (il 13 per cento del totale) e sarà costretto a rispettare scrupolosamente gli impegni se vorrà ricevere le diverse tranche dei 7,2 miliardi promessi all’Ungheria dalla Commissione. Orbán ha scelto dunque di scaricare sull’Europa l’irresponsabilità del suo governo non rinunciando a giocare con il complottismo anche quando si parla di finanziamenti europei, ma lo stesso non è invece riuscito a fare su un piano diverso che è quello della gestione della pandemia.

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I sovranisti all’amatriciana che hanno passato buona parte della propria carriera politica a celebrare le virtù di Orbán evitano di raccontarlo, ma la verità è che Orbán si trova in campagna elettorale con il tasso di mortalità più alto d’Europa (4 morti per milione di abitanti: l’Italia ne ha 2,2, la Germania 1,3, la Francia 1,8), subito dopo quello della Croazia (è come se l’Italia avesse circa 800/1.000 morti al giorno) ed è proprio nella gestione della pandemia che negli ultimi mesi il premier ungherese è stato costretto a rinnegare i propri ideali accettando una dura immersione nella realtà.

In un primo momento, Orbán ha sfidato la retorica complottista, alimentata in Europa dallo stesso Orbán insieme ai suoi cugini di campagna elettorale, scongiurando tutti i suoi connazionali in età vaccinabile di fidarsi della scienza e di vaccinarsi a più non posso. In un secondo momento, notizia più recente, Orbán ha scelto di sfidare la retorica del complottismo anti europeista compiendo un gesto in controtendenza rispetto alle proprie convinzioni passate. In primavera, il premier ungherese, rimproverando l’Europa di essere lenta, inefficiente e inefficace nella gestione del piano vaccinale, aveva annunciato di non volere più vaccini dall’Unione europea e, in nome di una gestione sovranista della pandemia e in nome di un odio contro le grandi case farmaceutiche mondiali, aveva promesso che sui vaccini avrebbe fatto da sé, utilizzando due vaccini osteggiati – secondo lui – dal sistema europeo: quello cinese (Sinopharm) e quello russo (Sputnik), entrambi non riconosciuti dall’Ema. La scorsa settimana, Orbán ha fatto un passo indietro, decidendo di rientrare nel meccanismo comunitario di acquisto comune dei vaccini per difendere la popolazione dalla variante Omicron e ha deciso di farlo in concomitanza con l’approvazione da parte dell’Agenzia europea per i medicinali del vaccino di Pfizer per i bambini dai cinque agli undici anni, che resta l’unico approvato finora per questo gruppo di età, e in mancanza del quale Orbán sarebbe stato costretto a rinunciare alle dosi per i più piccoli (Orbán ha dunque deciso di vaccinare i più piccoli senza ascoltare  sorprendentemente le tesi di due noti virologi di  nome Matteo Salvini e Giorgia Meloni, entrambi contrari a vaccinare i bambini).

 

La lezione è interessante: un sovranista europeo che ha costruito il suo mito combattendo l’Europa a colpi di complottismo anti atlantista è costretto a combattere il complottismo che lui stesso ha alimentato mettendo da parte i vaccini non occidentali (cinese e russo), chiedendo una mano all’Europa (fatemi rientrare nel vostro progetto: l’unione fa la forza) per comprare una scorta aggiuntiva pari a 9,5 milioni di vaccini prodotti da Pfizer (chissà cosa direbbe Soros).

Le elezioni presidenziali di Francia e Italia ci diranno molto sul futuro dell’europeismo nel nostro continente, ma lo spettacolo ungherese non è da meno per mettere a fuoco un fenomeno inquadrato spesso durante la stagione pandemica: l’improvvisa consapevolezza da parte dei sovranisti della pericolosità del sovranismo per difendere l’interesse nazionale.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.