Il racconto
Quirinale, l'eterna autogestione del M5s manda in tilt Conte e preoccupa Letta
L'ex premier invita il partito a rimanere unito, ma non controlla i gruppi. E gli ex puntano sul contagio: "Abbiamo un nome di bandiera"
I grillini sul Colle hanno tre linee: una donna, Draghi, Mattarella bis. Taverna perde la pazienza. Di Maio non si trova
“Ahó, ma mica stamo in autogestione”. La cosa più saggia alla fine la dice – anzi la scrive in chat – Paola Taverna, vicepresidente vicaria del M5s e del Senato, cresciuta nella periferia romana del Quarticciolo, ma ormai quasi un busto di Palazzo Madama, con ornamentale borsa di Louis Vuitton.
In ventiquattro ore il M5s è riuscito a dire tre cose e si è contraddetto quattro volte. Prima ha ripetuto – intervista al Piccolo di Stefano Patuanelli – “Draghi resti a Chigi, una donna al Quirinale”, poi ha sterzato – intervista di Stefano Patuanelli al Corriere – con un importante “nessuna preclusione a Draghi al Quirinale” e infine il capolavoro che fa grattare il capo a chi legge: “Siamo per il Mattarella bis”.
Un’indicazione uscita – fra un’intervista e l’altra del ministro e capo delegazione grillino – dall’assemblea dei senatori. La cui primogenitura è stata di Danilo Toninelli, subito seguito a ruota, dice l’ex ministro, da una trentina di colleghi. “Bella idea, Danilo: sì, bis, bis”, è stato il coro di questa riunione via Zoom – altro che gli sceneggiatori di Boris – dove è stato anche detto, piccolo inciso, che Giuseppe Conte dovrà essere affiancato nelle trattative per il Quirinale.
Il Pd in queste ore si fa una serie di domande: chi dà la linea nel M5s i parlamentari o il capo politico? E soprattutto: qual è la la linea? E ancora: Conte controlla le truppe? Vista da fuori la prima forza del Parlamento – 233 eletti – bascula nel caos. Avanti e indietro.
Loro sono così, si sa, ma voi vi fidate? Sguardi a terra. Imbarazzo. Al Nazareno sono abbastanza disperati. Il ritorno di Massimo D’Alema nel Pd, in confronto alle acrobazie degli alleati grillini, è un argomento da caffè letterario di Trieste. “Qui il problema è strutturale”, raccontano dal Pd, stanchi di infierire sul compagno di viaggio così schizofrenico. Enrico Letta dalla sua casa di Pisa in queste ore ha assistito ai numeri circensi del M5s sul Quirinale. Poi si è pulito gli occhialini appannati dall’ansia e si è convinto, ancora una volta e sempre di più, che serve un accordo più ampio possibile sul Quirinale. Non tanto per una questione di grammatica istituzionale, ma proprio per motivi di sintassi. Il M5s di Giuseppe Conte è quel partito che inizia la frase in un modo, salvo terminarla in maniera incomprensibile. Abbondano i soggetti, piovono subordinate.
Il seggio di Roma 1 donato dai dem e rifiutato all’ultimo minuto dall’Avvocato del popolo ritorna in queste ore come oscuro presagio di meccaniche divine che finiscono in un rapimento mistico e sensuale. Nonsense. Dai corridoi del Colle liquidano l’uscita dei senatori M5s così: grazie, ma il presidente è indisponibile.
In privato Conte ha minimizzato la riunione dei grillini di Palazzo Madama come “uno sfogatoio”. Come se fossero chiacchiere da bar. I più zelanti collaboratori dell’ex premier hanno poi aggiunto che si tratta di “gesti stupidi” e “naïf”, di “classica anarchia” e di “soliti errori”. Che alla fine alimentano, però, i soliti sospetti. Ecco, per esempio dov’è Luigi Di Maio? Il ministro degli Esteri si è inabissato. Dicono che stia già pensando a come costruire la maggioranza che sosterrà il sostituto di Draghi a Palazzo Chigi. Ma sarà così? Nel M5s le leggende precedono i personaggi. Che romanzo. Perché poi bisogna dar conto anche di coloro che sono grillini a metà. Non lo sono più perché espulsi ma si sentono più puri dei puri. Emanuele Dessì, entrato nel Partito comunista di Rizzo, dice che insieme a una cinquantina di ex parlamentari pentastellati sta cercando di trovare un “nome di bandiera”. Che possa provocare un effetto contagio nel gruppo M5s rinverdendo i fasti della candidatura di Stefano Rodotà. Girano i nomi di Paolo Maddalena, Massimo Cacciari, Lorenza Carlassare, Ugo Mattei ma anche Nicola Gratteri: giuristi, filosofi, magistrati con una certa idea della “Costituzione più bella del mondo”, ma all’occorrenza anche sui vaccini e sul green pass. “Vogliamo fare uno scherzo a Draghi”, dice l’altro grande pentito del neo grillismo, Gianluigi Paragone, a un convegno contro il certificato verde in compagnia del deputato M5s Alberto Zolezzi. E Conte? Continua ad ascoltare tutti. E dopo aver passato settimane e mesi a studiare lo statuto del partito che voleva conquistare (se ne sarà pentito?) adesso salta da una call all’altra. Ieri si è gettato a capofitto sul cdm di domani. Poi è riemerso per dire a deputati e senatori che nulla è ancora deciso sul Quirinale, che non devono leggere i retroscena dei giornali. E che insomma siamo alle fasi di riscaldamento. Lo sa benissimo anche Draghi, ossessionato dalla “stabilità” e attento ai segnali che piovono qua e là su Palazzo Chigi, attento a non ficcarsi in questo eterno carnevale pentastellato. Che somiglia, più che altro, a un’autogestione.