"Il Pd voti Mattarella: non lasciamolo al M5s". Orfini e il Quirinale rossogiallo

I senatori grillini avvisano Conte: facciamo sul serio, ascoltaci. E adesso la rielezione del presidente della Repubblica entra anche al Nazareno

Simone Canettieri

L'esponente dem: "È la soluzione migliore davanti all'emergenza per garantire stabilità". Ma Letta lo stoppa: il 13 in direzione si parlerà di schema, ma non di nomi. Cresce il fronte per il capo dello stato

“Non possiamo lasciare Mattarella al M5s, diciamo”. Matteo Orfini, ex presidente del Pd e capo della corrente dei Giovani turchi, annuncia che il 13 gennaio alla direzione del partito proporrà la ricandidatura del capo dello stato. “O meglio – spiega al Foglio – vogliamo eleggerlo e non chiedergli di restare come fu per Giorgio Napolitano,  che è diverso”. La mossa di Orfini arriva dopo la presa di posizione dei senatori grillini che, dopo aver spiazzato Giuseppe Conte due giorni fa in assemblea, tornano a ribadire al leader il seguente messaggio: “Ascoltaci: noi facciamo sul serio”. 

E così la figura di Mattarella, che nel suo ultimo discorso ha ribadito l’indisponibilità a un altro mandato, unisce mondi rossogialli a dispetto dei rispettivi leader. “Non posso essere certo tacciato di avere simpatie grilline – continua Orfini – ma credo che questa sia la soluzione migliore. L’unica in grado di garantire stabilità al Paese, preservare Draghi e mettere al sicuro l’Italia alle prese con la quarta ondata”. Orfini la fa facile, certo. Lancia un sassolino nello stagno per capire l’effetto che fa. Tuttavia ci sono un paio di problemini non da poco: il diretto interessato ha già detto “no, grazie”. E comunque il centrodestra, almeno come posa, è inchiodato sulla candidatura di Silvio Berlusconi. Orfini crede nei passaggi politici che devono schiudersi. E’ sicuro che il Pd non potrà mai dire no a Mattarella, crede che alla fine la Lega si convincerà al bis e che a Forza Italia davanti all’evidenza dei fatti, l’impossibilità del Cav. di farcela, cambi scelta.  Il capo dei Giovani turchi non vede ostacoli dall’area centrista e da Italia viva (Matteo Renzi, da qualche giorno in montagna, ricorda che “Conte voleva una donna al Quirinale poi ha proposto Mattarella: gli ricordo che si chiama Sergio”).  


Ma forse si sta correndo troppo. E bisogna fare i conti con i fatti e soprattutto con l’oste. “Il presidente Mattarella, anche se è inutile dirlo, per il Pd non sarà mai un problema, ma prima di tutto viene anche la fattibilità del percorso”, ragionano al Nazareno, per nulla preoccupati – sostengono – dall’uscita di Orfini. Innanzitutto il 13 gennaio il voto della direzione non sarà sul nome, ma sullo schema da seguire: presidente autorevole e condiviso da tutti, stabilità per il governo e legislatura da portare a termine. Enrico Letta crede che alla fine l’ipotesi Draghi al Quirinale sia ancora percorribile, ma certo le variabili sono moltissime: dai gruppi parlamentari che dovrebbero votarlo fino alla situazione contagi da Covid (ieri 189.109 casi e 231 morti). Il partito di Mattarella inizia a essere comunque sempre più trasversale nella pancia del Parlamento (rassicura e garantisce lo status quo) e coincide con quello del Covid che continua ad avanzare. Addirittura c’è chi non esclude, è il caso dei deputati di Pd e Coraggio Italia Stefano Ceccanti e Osvaldo Napoli, uno slittamento del voto “causa Omicron”. 


Uno scenario, al momento affatto contemplato dal presidente della Camera Roberto Fico, che aprirebbe la strada a due soluzioni: la prorogatio di Mattarella o la supplenza, a partire dal prossimo 3 febbraio, di Elisabetta Casellati, presidente del Senato e seconda carica dello stato. Ma anche in questo caso si entra nel campo di ipotesi che tutti vogliono scongiurare. Bisogna ripartire da Matteo Orfini e dalla strategia del Pd. 
La direzione del 13 dicembre stabilirà lo schema, ormai arcinoto, e darà mandato al segretario Enrico Letta a trattare con le opposizioni (coadiuvato dai due capigruppo di Camera e Senato). Il segretario del Pd non parla. E dunque le virgolette da prendere per buone sono quelle del lettiano Enrico Borghi: “L’unità del partito è la precondizione per affrontare questo tema e per questo nella prossima riunione dovremo costruire unitariamente un metodo condiviso”.  

  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non  pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d'autore.