tensioni interne
Su obbligo vaccinale e super green pass c'è ancora la doppia Lega?
L'ostruzione leghista porta a un compromesso sulle misure contro il virus. "L'ambiguità del segretario sui vaccini è diventata insostenibile. Così la Lega romana si mette contro la Lega dei territori", dice l'europarlamentare del Carroccio Da Re
Chi voglia imbottigliare tracce di malessere leghista nei confronti di Salvini, si appunti queste dichiarazioni. "L'ambiguità del mio partito e del mio segretario sui vaccini mi sta mettendo a disagio da tempo. È sempre stata ingiustificabile, ora è diventata insostenibile". Quel che Gianantonio Da Re, europarlamentare del Carroccio, registra in un'intervista al Corriere è un orientamento che si muove non così sottotraccia tra i leghisti. Se è vero che è dall'inizio della pandemia, soprattutto nelle sue fasi più acute, che si è auscultata in sottofondo questa sempre presente divaricazione tra quello che andava propagandando Salvini e l'atteggiamento pragmatico, responsabile, dei suoi referenti sui territori. A partire ovviamente dai governatori delle regioni del nord come Luca Zaia, Massimiliano Fedriga e Attilio Fontana. Gente che ha tastato col polso quanto accadeva nei propri ospedali.
Ieri in Consiglio dei ministri, davanti a Draghi, nell'appuntamento in cui le forze politiche erano chiamate a restringere ancor di più le maglie per contrastare l'avanzata della variante Omicron, la Lega ha fatto quello che i giornali in toni semplificatori descrivono come "le barricate". Si discuteva della possibilità di scendere fino a 40 anni come soglia per imporre l'obbligo vaccinale. Si è arrivati a 50 anni come compromesso di mezzo rispetto a chi, come i leghisti, insisteva perché non si scendesse sotto la soglia dei 60. Il motivo: salvare il posto di lavoro ai No vax che lavorano in alcuni settori come l'edilizia e i trasporti su gomma. Ma è soprattutto sul dietrofront rispetto all'obbligo di super green per andare a lavoro che Salvini e i suoi hanno ottenuto quel che volevano dal principio. In questo manifestando una certa contiguità tra il segretario e i suoi ministri, tra cui Giancarlo Giorgetti (ieri però non era presente in cabina di regia), per mesi descritto come l'esponente dell'altra Lega che mal digeriva le uscite del suo capo. Ma tant'è.
Fatto sta che se a Roma il Carroccio è sembrato muoversi come un corpo solo, ad altre latitudini l'atteggiamento del partito non ha raccolto grandi attestati di condivisione. Sempre secondo l'eurodeputato Da Re, depotenziando sistematicamente le misure del governo "la Lega romana si mette contro la Lega dei territori. Ostacolano i nostri governatori, i nostra tanti sindaci, tutti gli amministratori leghisti che da due anni si battono per sconfiggere la pandemia". Lo dicevano, solo qualche mese fa, gli esponenti della Liga veneta che chiedevano al segretario una presa di posizione forte per evitare che passasse un messaggio antiscientifico. In caso contrario, come disse al Foglio il consigliere regionale veneto Marzio Favero, assecondando le istanze bislacche dei Borghi e Co. si sarebbe rischiato di "ripiombare nel Medioevo". O come il sindaco leghista di Alzano lombardo, uno dei primi epicentri della pandemia, Camillo Bertocchi, per cui, come rivelato al nostro giornale, "sui vaccini Salvini non può essere pro vax ma solo sì vax. Le uscite di alcuni deputati della Lega sono inaccettabili, una mancanza di rispetto nei nostro confronti". Sono passati diversi mesi eppure è come se all'interno della Lega non fosse passano neppure un solo giorno. Perché ciclicamente si torna sempre al punto di partenza.