Salvini e la trappola della parentesi
Uscire o no dall’esecutivo? E resistere o no alla tentazione di tornare più di lotta e meno di governo? Perché la scelta fra trucismo e draghismo mostra il dramma politico del leader della Lega. C’è una pista
Il 2022, lo abbiamo capito, sarà l’anno delle parentesi. Lo sarà a livello mondiale, naturalmente, e ciascuno di noi, nel suo piccolo, è qui ad augurarsi che finalmente l’anno appena iniziato possa essere ricordato come l’anno della chiusura della lunga parentesi pandemica. Lo sarà a livello europeo, ovviamente, e sarà tutto da dimostrare che la parentesi virtuosa aperta dall’Europa nella stagione pandemica, una parentesi fatta di efficienza nelle politiche, velocità nelle scelte e condivisione dei problemi, verrà chiusa a breve, riportando l’Europa nuovamente al suo anno zero, o rimarrà aperta ancora a lungo, e i due test da seguire per monitorare l’apertura della parentesi, oltre ovviamente alla gestione comune della pandemia, saranno quelli legati al futuro del Patto di stabilità e al futuro della governance sull’immigrazione. Ma l’anno delle parentesi avrà anche una sua dimensione nazionale e il caso dell’Italia, in questo senso, sarà interessante almeno per due ragioni.
La prima ragione riguarda il caso Draghi, e la svolta riformatrice imposta dalla sua azione di governo, e l’occasione dell’elezione del presidente della Repubblica ci aiuterà a capire se l’Italia, su questo fronte, sul fronte dell’inversione della rotta populista, ha scelto di fare sul serio, allungando la parentesi del draghismo per i prossimi sette anni, o ha scelto di scherzare, attrezzandosi per bocciare Draghi al Quirinale anche per chiudere rapidamente la sua parentesi.
La seconda parentesi nazionale che varrà la pena monitorare è invece quella relativa alla stagione vissuta da uno degli azionisti di maggioranza del governo e in questo senso l’elezione del prossimo capo dello stato ci aiuterà a capire non solo che durata avrà la parentesi del draghismo ma anche che durata avrà la parentesi aperta dalla nuova Lega, se così si può dire, nel momento stesso in cui Salvini, lasciandosi convincere dai colonnelli leghisti, ha deciso di dare il suo supporto al governo Draghi. Detto fuori dai denti, un minuto dopo la partita del Quirinale la Lega di Salvini di fronte a sé avrà due strade: cercare una scusa qualsiasi per mettersi all’opposizione del governo, considerando centrale per l’identità leghista la sfida con il partito di Giorgia Meloni, o accettare la sfida del governo, anche di grande coalizione, per poter rivendicare, nel corso delle prossime elezioni, il proprio ruolo cruciale nell’avere aiutato il paese a uscire dalla parentesi della pandemia. Detto in modo ancora più semplice: riuscirà Salvini a resistere alla tentazione di dare alla sua Lega un profilo un po’ più di lotta e un po’ meno di governo?
Scegliere la scorciatoia della competizione all’opposizione, Salvini vs Meloni, significherebbe per la Lega fare un passo in avanti nella cancellazione dei mesi preziosi passati dal partito di Salvini nel governo di grande coalizione, mesi durante i quali la Lega ha cercato seppur con molta fatica una strada per emanciparsi dalla stagione dell’irresponsabilità, ma la possibilità che la Lega scelga questa strada è purtroppo per Salvini qualcosa in più di una semplice ipotesi di scuola. Un po’ perché Salvini, riportando la Lega all’opposizione, si riapproprierebbe con più semplicità di un’agenda politica che oggi, all’interno della Lega, si trova ben salda nelle mani di Giancarlo Giorgetti e Massimiliano Fedriga. Un po’ perché Salvini, nella sua partita quirinalizia, ha fatto filtrare quelle che sembrano essere le sue intenzioni rispetto al successore di Sergio Mattarella.
Salvini vuole andare all’opposizione. Vuole andarci non per andare alle elezioni ma per recuperare il suo svantaggio sulla Meloni. Per farlo avrebbe bisogno di una buona scusa per sottrarsi alla responsabilità di governo. La buona scusa potrebbe essere quella di non volersi impegnare in una grande coalizione con il Pd senza avere più Draghi al governo. E per favorire questa circostanza la strategia di Salvini, una volta archiviata la pratica del Cav. quirinalizio, che nessuno nel centrodestra capisce ancora però come potrebbe essere archiviata, sarebbe semplice: non opporsi alla candidatura di Draghi al Quirinale lasciando ai propri parlamentari la libertà di scelta e preparandosi a usare l’eventuale elezione di Draghi al Quirinale come un credito per il futuro e come una scusa per uscire dal governo.
La Lega del futuro, Quirinale o non Quirinale, in altre parole, nelle prossime settimane dovrà decidere che fare con la parentesi aperta il giorno in cui Salvini ha scelto di appoggiare Draghi. Se scegliere la linea della discontinuità con il passato, linea che prevede naturalmente una discontinuità progressiva con il vecchio salvinismo, o se scegliere la linea della discontinuità con la discontinuità, per così dire, rinunciando a dettare l’agenda politica dell’Italia post pandemica, provando a ritornare alle proprie origini, al vecchio complottismo in servizio permanente effettivo, mossa dall’illusione effimera che la fine dell’emergenza sanitaria possa riportare indietro le lancette politiche dell’Italia e che la stagione del salvinismo in versione trucista possa essere drammaticamente una parentesi che si riapre davvero. Il futuro del centrodestra, nei prossimi mesi, in fondo passerà anche da qui. Dalla capacità da parte di Salvini di non infilare nel cestino della storia la svolta impressa al suo partito spostando la sua linea dall’agenda Papeete a quella Draghi.