Fronte dell'aula
“Capisco i presidi, ma riaprire le scuole è una priorità e un dovere”. Parla Luigi Berlinguer
"L'esercito dei giovani apprendisti" per cui non può bastare la lezione individuale o la teleconferenza
L'ex ministro è convinto che "lo svolgimento dell’attività scolastica è il caposaldo di una nazione moderna". Perché bisogna rivendicare "alla cultura che si ottiene con l’apprendimento il ruolo decisivo che merita"
Dieci gennaio: è il giorno fissato per la riapertura delle scuole, con nuove regole per le quarantene decise dall’ultimo decreto del governo in modo da garantire il più possibile la scuola in presenza, pur nel rispetto della sicurezza. Ma il dieci gennaio è anche la data che preoccupa i duemila presidi che chiedono di posticipare il rientro in classe, visti i contagi e le previste assenze del personale, per non dire del governatore campano Vincenzo De Luca che annuncia, nonostante le decisioni governative, la proroga della chiusura per elementari e medie fino a fine gennaio. Luigi Berlinguer, accademico, già rettore dell’Università di Siena e ministro dell’Istruzione, da un lato, “con il cuore”, dice, capisce la preoccupazione dei dirigenti scolastici e ha “massimo rispetto” per chi dovrà “affrontare sacrifici per tenere aperte le scuole: sono problemi reali che meritano la massima attenzione”. Dall’altro lato, però pensa che ciò che conti sia l’obiettivo finale: “Lo svolgimento dell’attività scolastica è il caposaldo di una nazione moderna. Nazione che deve, sì, perseguire il benessere economico e avere una posizione rispettabile sul piano internazionale, ma ha il compito di far crescere nelle condizioni migliori i propri cittadini e di creare le condizioni strutturali perché questo possa verificarsi”.
Non si può dimenticare, dice l’ex ministro, “che per un lungo periodo della vita – gli anni dell’infanzia e della giovinezza – l’essere cittadino si identifica con l’apprendimento. I giovani cittadini sono contemporaneamente persone che apprendono. Guai a discriminare chi può imparare perché la famiglia e la scuola lo sostiene e chi non può farlo. La vitalità e il futuro del nostro paese dipendono anche dal fatto che soggetto principe dello stato è chi apprende, non soltanto chi insegna, per quanto chi insegna debba essere considerato una grande ricchezza per il paese. Ma non esiste l’insegnare se non si dà altrettanto rilievo a colui che risponde a quell’input: rivendichiamo quindi alla cultura che si ottiene con l’apprendimento il ruolo decisivo che merita. Non si tratta soltanto di veicolare nozioni: la scuola deve essere il braccio armato, intelligente e pacifico dello stato. Senza scuola non c’è stato; la scuola ha cambiato la fisionomia delle nazioni moderne. Senza scuola lo stato è stato medioevale”.
Di fronte a numeri preoccupanti di abbandono e dispersione scolastica, Luigi Berlinguer vuole difendere “la differenza che fa l’educazione nella formazione di un cittadino: che cittadino è chi è stato bambino o ragazzo senza istruzione? Questa deve essere a mio avviso una delle prime preoccupazioni politiche di chi crede nel progresso”. Ribadendo la comprensione per i presidi (“il nostro cuore è con loro, ripeto”, dice Berlinguer), l’ex ministro sottolinea l’importanza della scuola in presenza: “Perché la scuola svolga la sua funzione, e si faccia premessa di dignità di una nazione, deve garantire la presenza. A scuola si studiano le varie materie, sì, ma al contempo si socializza nel senso più alto del termine. Apprendimento non può essere soltanto lezione individuale, conferenza, teleconferenza. La grandezza della scuola la fa l’esercito di giovani apprendisti che imparano facendosi comunità”.