What else?
Il compito di Draghi a palazzo Chigi è concluso: a che servono altri pochi mesi? Serve psicologia
L'elezione al Quirinale sta nella capacità persuasiva dell'attuale premier, che dovrà convincere il Parlamento che non ci saranno elezioni anticipate. E, per favore, non parliamo impropriamente di semipresidenzialismo all’italiana
Al direttore - Chissà se Mario Draghi riuscirà a superare la “prova di patriottismo” agitata da Giorgia Meloni a chiusura della sua convention intestata al personaggio fantasy di un favolista tedesco, come requisito d’idoneità per avere i voti dei Fratelli (e delle Sorelle) d’Italia per il Quirinale. Perché se patriottico è chi mette le sue opere e il suo ingegno al servizio del proprio paese, beh, ci pare proprio che Draghi questo sentiment l’abbia manifestato concretamente. Ci punge, peraltro, lieve vaghezza, che per la leader dei “Conservatori” italiani (secondo l’ultimo ambizioso brand lanciato ai media) un presidente della Repubblica come Draghi, che effonde reputazione legittimante come un italiano vaccinato con la terza dose effonde gagliardi anticorpi, sarebbe l’ideale. In caso di vittoria della sua parte, naturalmente. Dunque il patriota c’è già e vive e lotta insieme a noi. Ed è – concordo con Cerasa – l’unico vero cavallo in corsa, se alla corsa non partecipa Mattarella.
L’idea della rielezione del presidente in carica è in campo dall’inizio, nonostante le sue sincere e motivate ritrosie. Ma alcuni leader insistono, un po’ per prendere tempo, un po’ perché ci credono, un po’ per esaurimento di altre risorse. Qualche volta, tra l’altro, in modo assai maldestro: fatti rieleggere e poi, dopo che Draghi ha finito col Pnrr, lasci il posto a lui. Sennonché il capo dello Stato, che è già succeduto a un presidente rieletto e non ha nessuna voglia di instaurare una nuova prassi costituzionale in questo senso, ha detto a chiare lettere che non ci sta, citando i predecessori Segni e Leone che chiedevano una riforma costituzionale per impedire il settennato bis. Sette anni sono già molti e la ragione per cui il Costituente non inserì il divieto nella Carta più che essere dettata da una visione coerente con un’idea specifica del ruolo presidenziale, fu dovuta al contrasto politico tra Dc e Pci, impersonati da Moro e Togliatti, che finì zero a zero e lasciò indefinita la questione.
Da quella indefinitezza deriva la rielezione di Napolitano (manifestamente riottoso, fin dal suo discorso di accettazione davanti alle Camere). D’altro canto, dopo il taglio del 36,5 per cento dei parlamentari si consiglierebbe vivamente di trovare un candidato super partes e, dunque, votabile da una maggioranza molto larga. Per evitare imbarazzi futuri di fronte a un Parlamento che sarà fortemente caratterizzato da un imprinting maggioritario. Insomma: occorre che sia non un esponente di partito, ma una personalità vissuta come punto di equilibrio e in grado di riscuotere un vasto consenso popolare. Solo così potrebbe rivolgersi al nuovo Parlamento bonsai con intatta autorevolezza (e non se fosse eletto con il 50 più uno).
E allora? Allora Draghi. Ha già una larga maggioranza che lo sostiene in modo trasversale, tutti tranne Giorgia, di cui, però, s’è detto; ha rimesso in piedi dignità italiana e progetto di ripresa, investendo il suo personale patrimonio reputazionale nel mondo; ha costruito e legittimato il Pnrr, consentendo al paese di staccare da subito i primi bonus; ha, praticamente, esaurito la sua missione: quanti mesi ancora di governo effettivo ci saranno prima delle elezioni politiche del marzo 2023? Da febbraio, quando giurerà il nuovo Capo dello Stato, non più di cinque-sei. Poi l’estate, poi la legge di stabilità di fine legislatura, poi da gennaio la nuova campagna elettorale. Quel che doveva Draghi l’ha già fatto. E allora si tratterebbe di trasferire la sua specialissima capacità di garante del paese al cospetto internazionale, con lo scudo della sua reputazione, da palazzo Chigi a palazzo del Quirinale. Con una estensione temporale che andrebbe da sei mesi a sette anni. Un buon affare per l’Italia, non c’è che dire.
E, per favore, non parliamo impropriamente di semipresidenzialismo all’italiana: da noi non c’è investitura popolare. Parliamo piuttosto di poteri del presidente che si rendono più visibili quando la politica è esangue e che invece sono nell’ombra quando la politica riprende il suo posto. Perché allora dovremmo definire semipresidenzialisti anche Scalfaro, Ciampi, Napolitano e lo stesso Mattarella, per aver nominato capi di governo scelti da loro e non dai partiti. Allora è fatta, Draghi for President? Non ancora, c’è lo scoglio più grosso: dovrà convincere i “grandi elettori” parlamentari (945) che non ci saranno elezioni anticipate e che designerà un presidente del Consiglio a sua immagine e somiglianza, con una squadra che non cambia. La sua elezione, allora, sta nella sua capacità persuasiva. Siamo nella psicologia, e non più nella politica, la politica, si sa, è uscita di scena da un po’, lasciando il posto a Michael Ende e altre fantasie.
Pino Pisicchio, ex deputato