ricatto un corno
Caro Corriere, la folle candidatura del Cav. merita il premio “riformatori & rivoluzionari”
Date pure il Colle a Draghi. Ma riconoscete a Berlusconi di aver lottato con trasparenza e nel segno della chiarezza
Strabuzzo gli occhi. Mi dicono che Roberto Gressi, ex capo della redazione politica a Roma e editorialista del maggior quotidiano nazionale, è firma autorevole, opinionista ufficioso, che rappresenta gli orientamenti della direzione del Corriere. Non quello di Missiroli, Alfio Russo, Spadolini, nell’Italia dei Gronchi, dei Segni, dei Saragat e di altri galantuomini che appartengono al passato archeologico della Repubblica, proprio quello di oggi, quello affidato alle capaci mani di Luciano Fontana, direttore. E leggo un suo pezzo di ieri in cui il Gressi si fida di dire (come dicono a Napoli, s’è fidato ’e dicere) che al Quirinale “non ci si candida, perché si viene chiamati”. Chiamati. I grandi elettori, assemblati nei diversi gruppi parlamentari da un’oligarchia di capi, nel rigoroso riserbo e del tutto al riparo dall’opinione pubblica informata, “chiamano” un tizio al di sopra delle parti ispirati dallo spirito santo laico, dal Grande Architetto dell’universo, come nella Massoneria, che è una grande istituzione di cui mio nonno faceva parte, sebbene per lunghi anni in sonno, ma è anche un’anticaglia spirituale la cui egemonia culturale, nel paese che produsse la Costituzione più bella del mondo, dettò le regole dell’elezione del capo dello stato: niente candidature ufficiali, niente programmi, niente dichiarazioni di valori, niente di niente, e sopra tutto niente nomi, fino al momento in cui il Parlamento si riunisce in seduta comune presieduto dal presidente della Camera e, nel più assoluto divieto di parola e di intervento politico, comincia a votare in segreto, ovviamente, maggioranza qualificata nelle prime tre votazioni, maggioranza del corpo elettorale dalla quarta in poi. Il “chiamato” è il nome scritto nelle schede elettorali che raggiunge il quorum. Habemus papam. Ora devo specificare che io, vecchio pirata berlusconiano da tempo in disuso, sempre innamorato del senso di quell’avventura ma conformisticamente rientrato da tempo nella normale routine della nomenclatura politica più pazza e insieme scipita del mondo, nell’area politica più derelitta dell’universo dopo quella di destra, cioè il centrosinistra, e nella mia modesta funzione di osservatore e pensionato, sono per l’elezione al Quirinale di Mario Draghi, come ho scritto mille volte.
Dopo quanto è accaduto, non ci possiamo permettere di dire a noi stessi e al mondo: scusate, abbiamo scherzato. Scusate, Draghi con il suo curriculum era la testa d’uovo buona per incamerare i miliardi dell’Europa e impostarne la spesa, oltre che per rafforzare la cura della pandemia in emergenza, lui e la sua maggioranza di unità, ora passiamo alle cose serie e eleggiamo un altro, “chiamandolo” alla presidenza della Repubblica, e il guru che c’eravamo scelto lo rimandiamo a Città della Pieve o alla Goldman Sachs. Draghi non si è candidato, sta alla cosiddetta regola, ma non è stato ipocrita oltre misura, si è detto dignitosamente disponibile alla “chiamata”, anche perché sa, come so io e tutti quelli con la testa sulle spalle, che mentre ha un senso passare sette anni da garante, con poteri di controllo costituzionale notevoli sulla vicenda politica, non ha senso passare qualche mese da reggimoccolo di un giro di partiti non molto compos sui in campagna elettorale. Non era questo il senso della missione di cui fu incaricato da Sergio Mattarella, con l’approvazione entusiastica di coloro che adesso vorrebbero dire: abbiamo scherzato.
Il problema è che Berlusconi ha stravolto, lui vecchio scherzoso Piduista, l’austera regola massonica. E che da molti anni io sostengo apertamente che quella regola è buona per il Conclave, nel corso del quale lo Spirito Santo cristiano chiama il prescelto in mente Dei, dove a decidere dovrebbe dunque essere la fede, mentre non va bene per l’elezione del capo dello stato, dove a decidere dovrebbe essere un minimo senso di trasparente fiducia fra gli eletti in Parlamento e l’eletto al Quirinale, con un minimo di informazione non manipolata dell’opinione pubblica o corpo elettorale generale che dir si voglia. Candidature ufficiali entro una certa data, dichiarazioni di valore, programma istituzionale e definita concezione del ruolo della presidenza. Non sarebbe poi così complicato sottrarre al lavorio dei ricatti e delle opache alleanze sottopelle un’elezione che non è una chiamata o non dovrebbe esserlo.
Ora, io sono per Draghi presidente, ma non in nome della battaglia al “ricatto” berlusconiano, e alla pretesa incostituzionale, come scrive l’autorevole Gressi, di esporsi pubblicamente come candidato e di mettere in campo l’orientamento politico del candidato, con trasparenza assoluta, per l’ottenimento del quorum. Berlusconi ha detto: intendo andare al Quirinale, se il centrodestra non mi vota non si sogni poi di associarmi a un’intesa di governo, se il Parlamento sceglie un altro sappia che mi dissocio dalla maggioranza e lavorerò per il ritorno alle urne. Ricatti? No, condizioni politiche per una candidatura di parte, per essere eletto con il quorum di una maggioranza del corpo elettorale.
Quando lanciammo dopo Ciampi, un po’ per celia e un po’ per non morire, la candidatura di D’Alema (che Dio ci perdoni, ma era il D’Alema della Bicamerale per le riforme non il D’Alema neoclassista e neocomunista di oggi), qui su questo Foglio, il segretario del partito di D’Alema, Piero Fassino, compose per le nostre colonne un manifesto della presidenza d’alemiana, una specie di incrocio tra una dichiarazione di valori e un programma istituzionale. Ne derivò scandalo, la regola della “chiamata” era stata copertamente e obliquamente violata, la proposta rientrò, e alla fine fu eletto e fece bene la sua parte per nove anni, rielezione compresa, il “chiamato” Giorgio Napolitano.
Ora si può dir tutto, per esempio che ci sono condizioni politiche ostative per una candidatura Berlusconi, peraltro istituzionalmente del tutto legittima e suffragata da un curriculum con molte ombre e tanta luce, e siamo d’accordo; ma non azzardatevi a ricorrere all’argomento demente e paramassonico, contro la limpida e un po’ folle decisione berlusconiana di ancorare la cosiddetta chiamata a un’elezione democratica in senso stretto, al riparo da conciliaboli e manovre oscure, che è nella sua apparente bizzarria la pulsione assennata di Berlusconi. Date il Quirinale a Draghi, datelo al super partes e con il vecchio metodo, ma conferite a Berlusconi il premio “riformatori & rivoluzionari” per aver impostato la battaglia nel segno della chiarezza, trasparenza delle intenzioni, rispetto per il pubblico, responsabilità democratica e senso delle libere istituzioni.