Tutti i nemici di Draghi nella corsa al Quirinale
Cosa rende duro il passaggio del premier al Colle? Nemici visibili, leader in ballo. Oltre al guizzo del Cav. c’è una scelta da fare: togliere poteri a Draghi o dare più potere all’Italia. Un viaggio tra veti e voti
Nel caos alla fine conta anche quello: chi ha i voti, chi ha i veti. La notizia della candidatura ufficiale di Silvio Berlusconi al Quirinale, notizia emersa in modo formale ieri al termine del vertice del centrodestra, permette di illuminare un tema cruciale legato alla complicata successione di Sergio Mattarella. Un tema che riguarda una questione che fino a oggi il presidente del Consiglio ha sottovalutato nel costruire il suo percorso che da Palazzo Chigi avrebbe dovuto agilmente portarlo direttamente al Quirinale e che potremmo provare a sintetizzare così: quante truppe hanno gli avversari di Mario Draghi.
Immaginare che un presidente del Consiglio che gode di uno dei consensi parlamentari più importanti della storia della nostra Repubblica possa essere circondato dagli avversari può suonare come un ossimoro, e un po’ lo è, ma a nove giorni dal gong quirinalizio la candidatura di Draghi si presenta sempre come la più naturale ma ogni giorno che passa anche come un po’ meno semplice da realizzare. Ed è sufficiente provare a rispondere alla domanda da cui siamo partiti, chi sono i nemici di Draghi?, per rendersi conto di quali e quanti siano i problemi che ha di fronte a sé il presidente del Consiglio.
La candidatura di Silvio Berlusconi è certamente uno di questi problemi ma è un problema che si va ad aggiungere anche ad altre dinamiche utili da studiare. Il primo problema è l’assenza, almeno per il momento, di un portatore d’acqua per la candidatura di Draghi: Enrico Letta non sarebbe ostile ad avere Draghi al Quirinale, tutt’altro, ma la sua non ostilità difficilmente si trasformerà in un’iniziativa esplicita. Un po’ perché l’attivismo dei ministri del Pd per Draghi (Lorenzo Guerini in primis) non scalda gli animi dei parlamentari del Pd (che tra Draghi e Mattarella al Quirinale preferirebbero tutta la vita la seconda opzione senza accorgersi però che l’opzione per la quale tifano coinciderebbe con lo scommettere sul caos). Un po’ perché i compagni di viaggio del M5s su Draghi non sanno ancora cosa fare (tra i big del M5s solo Luigi Di Maio vorrebbe Draghi al Quirinale). Un po’ perché l’unico volto “pesante” del centrodestra pronto a votare Draghi al Quirinale in caso di fallimento della candidatura di Berlusconi è quello di Giorgia Meloni e in Parlamento conta appena il quattro per cento.
Matteo Salvini, in verità, non si può considerare un avversario di Mario Draghi al Quirinale, e Salvini è stato in fondo abile a tenersi tutte le porte aperte, ma per arrivare a Draghi dopo la votazione del Cav. a Salvini servirebbe costruire in dieci giorni un patto con Enrico Letta per il governo futuro e accettare il fatto di sposare una candidatura sostenuta nel centrodestra da tutti coloro che cercano da tempo di rimodulare, anche all’interno della Lega, il perimetro della leadership salviniana.
Non è un avversario di Mario Draghi neppure Matteo Renzi, naturalmente, come lo è invece il Gruppo Gedi, schierato compattamente contro il premier al quirinale senza capire che schierarsi contro il passaggio di Draghi da Chigi al Colle significa fare il tifo per l’indebolimento di Draghi e non per il suo rafforzamento. Ma neppure l’ex premier si può considerare tra i portatori d’acqua della candidatura del presidente del Consiglio al Quirinale. Non per questioni politiche, ma per questioni tattiche. E perché prima di schierarsi sullo stesso candidato su cui scommette Enrico Letta, e prima di mettere a rischio gli equilibri di questa legislatura, è altamente probabile che Renzi passi in rassegna tutte le altre opzioni possibili (che significa andare dal Mattarella bis al voto a favore di una donna di centrodestra).
E così succede che la candidatura più naturale per la successione di Sergio Mattarella oggi sia diventata più difficile non solo perché in campo c’è il Cav. (in attesa di trovare i voti per votarlo) ma perché tutti gli altri leader di partito, desiderosi di intestarsi non il candidato migliore ma quello vincente, hanno in mano molti veti e pochi voti a disposizione e sanno che alla fine la scelta che dovranno fare è decidere se lasciare Draghi a Palazzo Chigi per togliergli potere o mandarlo a Quirinale per dare più potere all’Italia. L’avversario numero uno di Draghi oggi formalmente è Berlusconi. Ma chissà che con il passare del tempo, una volta fatti i conti dei propri voti, non sia proprio il vecchio Cav. ad ascoltare Gianni Letta e a guidare le danze dell’unità nazionale per scortare Draghi lungo un percorso dove i falsi amici del premier sono molti ma dove in pochi alla fine avrebbero la forza, una volta in campo, per dirgli di no.