Foto: ANSA/RICCARDO ANTIMIANI

Dialogo tra un aristocratico e un plebeo

Il governo del sottogoverno

Sabino Cassese

Che fare con il parastato? Chi mettere a capo della miriade di enti e società che affiancano il potere pubblico? La consuetudine delle nomine politiche e l’alternativa del concorso

Il nuovo sindaco di Roma aveva promesso la città pulita entro Natale. Pare, invece, che sia stato impegnato nel pacchetto delle nomine: Ama, Atac, Teatro dell’Opera, Auditorium, Pala Expo, Macro, Eur spa, Zètema, Festa del cinema. E’ stato stimato che deve provvedere alle nomine di amministratori di 82 società. Una ristretta élite, gli aristocratici, quelli che arrivano al vertice per nomina politica: viene chiamato sottogoverno e ci si chiede se sia più importante del governo. Tanto più quando, come càpita spesso in Italia, il Paese si ferma in una sorta di stato di sospensione nell’attesa di qualche evento, l’anno scorso il piano di ripresa, quest’anno l’elezione del presidente della Repubblica.

 

In un dialogo si possono considerare più lati di un problema. Ascoltiamo, quindi, la voce dell’aristocratico, che sostiene il punto di vista della ristretta élite tecnico-politica e del plebeo, che pensa che l’amministrazione debba operare con gli strumenti di cui è dotata e che ai posti pubblici si debba poter accedere sulla base del criterio del merito, con concorsi aperti a tutti.

 

Aristocratico. Non c’è da meravigliarsi di quel che succede a Roma. Gli eletti rispondono innanzitutto a chi li ha candidati. Per farsi candidare bisogna essere nelle grazie delle segreterie dei partiti. Bisogna poi soddisfare la fame di posti dei partiti, per accontentare i propri fedeli. Così si chiude il cerchio.

 
Plebeo. Gli eletti devono invece rispondere agli elettori, ai cittadini. A loro si fanno promesse. E le promesse non possono consistere nella distribuzione di posti, ma nell’erogazione di servizi. Quindi, Roma pulita, non la distribuzione di cariche, spesso ben retribuite, ai propri fedeli.

 
Aristocratico. E’ noto che la pubblica amministrazione in Italia non funziona. Se lo Stato non funziona, c’è bisogno del parastato, quindi di una aristocrazia di Stato. Questo produce lo Stato arcipelago. La Corte dei conti, nei suoi incompleti rapporti, ha calcolato che vi sono più di 7 mila organismi “a latere” dei poteri pubblici, di cui quasi 5 mila sono società per azioni. Da questo conteggio sono escluse le società quotate e le società partecipate tramite altre società che non siano controllate. Più di mille di queste società sono in ritardo nell’approvazione del bilancio di tre anni fa, un’elusione fatta per evitare sanzioni ad aziende in perdita. Ammetto, quindi, che non è tutto oro quello che riluce. Ma ogni ministero, ogni regione, ogni comune ha organismi satelliti. E la loro diffusione è la prova del fatto che ce n’è bisogno. Se vi sono organismi satelliti, bisogna pure che gli organi politici nominino i loro amministratori.

 
Plebeo. In questo modo, però tra il corpo politico e il corpo amministrativo viene a crearsi una struttura dominata dal “political patronage”. E’ un fenomeno di cui nei Paesi moderni ci si è liberati da secoli. In Inghilterra, alla metà dell’Ottocento, in America nel 1883. E’ il cosiddetto sistema delle spoglie o del patronato politico, che produce un’invasione della politica nell’amministrazione, con grave danno per la collettività, perché i posti che vengono distribuiti ai propri fedeli dalle forze politiche sono pagati con risorse raccolte con le imposte, a carico della collettività. Quindi, questo fenomeno comporta l’uso privato di risorse pubbliche: i guardiani della spesa pubblica dovrebbero indagare questo aspetto. Nei Paesi anglosassoni l’uso politico dell’amministrazione e il ricorso al sistema clientelare vennero lungamente discussi e furono poi abbandonati per molti buoni motivi. Una amministrazione composta di seguaci di partito non assicura imparzialità, quindi può fare danni gravi alla collettività. Ai posti amministrativi tutti debbono poter avere accesso in condizioni di eguaglianza. Le scelte del vertice politico non assicurano la nomina di persone capaci. La porta aperta alla politica produce frustrazione e reazioni contrarie del personale che è entrato nell’amministrazione mediante scelta competitiva fondata sul merito. Il legame di fiducia tra cittadini e pubblica amministrazione si rompe.  Si falsa il rapporto cittadini-partiti, perché vi saranno persone che aderiscono non perché condividono la politica del partito, ma perché contano sulla possibilità di ottenere un posto. Infine, così si tradiscono i principi della democrazia, perché il consenso viene “comprato”, e posto a carico della collettività. Come vede, i buoni motivi per escludere nomine politiche discrezionali sono molti.

 

Lo spoils system produce un’invasione della politica nell’amministrazione, con grave danno per la collettività

  
Aristocratico. In Italia c’è sempre stata un’area pubblica o semipubblica dominata dalle nomine discrezionali dei corpi politici, sia al centro, sia nelle regioni, sia nei comuni. Una volta, c’erano le partecipazioni statali e le banche pubbliche; lì le forze politiche avevano mano libera nella scelta degli amministratori.

 
Plebeo. Anche per questo, nell’ultimo decennio del secolo scorso, partecipazioni statali e banche furono privatizzate, perché erano spesso un ricettacolo di persone non selezionate, la cui azione al vertice di queste strutture spesso provocava danni. Quindi, le conseguenze negative per lo Stato erano duplici: quella costituita dalla nomina di persone estranee, i cui meriti non venivano valutati, e quella prodotta dalla loro attività nell’esercizio delle cariche pubbliche per le quali venivano scelte.

 
Aristocratico. Un altro buon motivo per costruire strutture parallele o ad arcipelago è la necessità di far uso del diritto privato, sfuggendo ai vincoli pubblicistici imposti dallo Stato, che bloccano l’azione amministrativa. Se si esce da questi vincoli, si esce anche dall’area nella quale è imposto il concorso, e la scelta degli amministratori è discrezionale.

 
Plebeo. Far ricorso al diritto privato, e quindi a fondazioni, associazioni, società, non comporta necessariamente nepotismo o clientelismo. Anche qui si può scegliere sulla base del merito e non sulla base dell’appartenenza politica. Anche alle strutture private che si affiancano allo Stato dovrebbe essere richiesto di seguire criteri di scelta del tipo “competitive examination”, cioè procedure aperte, sulla base di bandi resi noti e pubblici in precedenza, scelte operate sulla base di valutazioni imparziali e affidate quindi a esperti indipendenti, valutazioni comparative e in concorrenza. Ma purtroppo, a nessuno piace la concorrenza, che si tratti di opere pubbliche, di concorsi per il reclutamento di personale, di procedure di affidamento di sevizi pubblici, di concessioni di beni demaniali. C’è una generale fuga dalla concorrenza.

 
Aristocratico. Questo ruolo di cerniera tra forze politiche e apparato esecutivo dello Stato è importante per diversi motivi. Innanzitutto, i partiti sono deboli e debbono appoggiarsi a tecnici-politici di loro fiducia. Basta chiedersi quanto tempo fa si sono svolti gli ultimi congressi dei partiti politici italiani, quanto articolata è la loro struttura territoriale, quali sono gli unici organismi vivi dei partiti. Questi hanno bisogno di strutture-cuscinetto con il potere pubblico, innanzitutto perché sono troppo deboli per svolgere la loro funzione. Poi, il sottogoverno è necessario perché il personale politico è poco preparato e deve, quindi, necessariamente far ricorso a tecnici di propria fiducia. Non va, poi, sottovalutato il fatto che spesso questi tecnici assumono essi stessi un ruolo politico: questo va a beneficio della politica, perché la arricchisce. Sullo sfondo, c’è quel passaggio realizzato nel 2013-2014, con la legge di abolizione del finanziamento pubblico diretto dei partiti, che conteneva disposizioni per la trasparenza e la democraticità dei partiti e disciplinava la contribuzione volontaria e quella indiretta a loro favore, creando un registro dei partiti politici, che in questo modo possono accedere ai benefici previsti da quella legge.

 
Plebeo. Ma il popolo reagisce a tutto questo. Prendiamo l’esempio dei comuni, gli organismi più vicini ai cittadini. Essi attraggono sempre meno la partecipazione dei cittadini, a cominciare da quella elettorale. Nelle grandi città, come Torino, Roma, Napoli e Milano, nelle ultime tornate elettorali, solo la metà degli aventi diritto al voto si è recata ai seggi elettorali. Molti partiti hanno dovuto fare ricorso a candidati esterni, così dichiarando la propria debolezza. Nell’ultima elezione suppletiva romana si è recato ai seggi soltanto il 10 per cento degli aventi diritto al voto. Ci si potrebbe porre l’interrogativo che si pose alla fine del ’700 l’illuminista francese Condorcet: “Est-il utile de tromper le peuple?”.

  

Il personale politico è poco preparato e deve, quindi, fare ricorso necessariamente a tecnici di propria fiducia

 

Aristocratico. Per tornare all’argomento dal quale abbiamo preso le mosse, quello del sottogoverno romano, il sindaco ha bisogno di collaboratori e può averne a condizione di sfruttare le cariche di sottogoverno per nominare persone di propria fiducia alle quali far ricorso per consiglio. Questo è un fenomeno che si ripete anche nell’amministrazione centrale, dove i gabinetti dei ministri svolgono un ruolo sempre più sussidiario dell’amministrazione. L’amministrazione ordinaria ha sempre meno rapporti con i politici al vertice, perché questi vengono mantenuti dai gabinetti ministeriali.

 
Plebeo. Ma i gabinetti non bastano alla politica. Una legge del 2001 prevedeva che il 10 per cento dei posti dirigenziali di prima fascia e l’8 per cento dei posti dirigenziali di seconda fascia potessero essere affidati a soggetti esterni all’amministrazione. Il decreto legge numero 80 del giugno del 2021 ha previsto un raddoppio di queste percentuali. Queste percentuali sono calcolate sulla base della dotazione organica, non dei posti effettivamente ricoperti. Se si valuta che la dotazione organica di posti di prima fascia della Presidenza del Consiglio dei ministri e dei ministeri è di 350 posti per la prima fascia e di 2.600 per la seconda, si può pensare che stiamo parlando di un numero complessivo di circa 500 persone. Tutte queste persone entrano nell’amministrazione violando il principio costituzionale del concorso, che richiede il rispetto dell’eguaglianza delle opportunità, quindi eguaglianza di accesso e imparzialità delle scelte, per assicurare la qualità dei servizi pubblici. Quel principio è fissato nella Costituzione perché serve nello stesso tempo alla società, alla quale assicura eguaglianza di trattamento dei cittadini, e allo Stato, perché assicura che le carriere siano aperte ai talenti. E’ il modo per escludere nepotismo e clientelismo.

 
Aristocratico. Ritorniamo all’annoso problema del merito. Se ne discute da parecchi decenni e gli interrogativi sono sempre aperti. Come si può misurare il merito? E chi può misurarlo? Le commissioni di concorso possono essere prevenute, esprimono comunque valutazioni soggettive. Poi, il merito è influenzato dalle origini sociali e rischia di dividere la società in vincitori e vinti.

 

Il merito è influenzato dalle origini sociali e rischia di dividere la società in vincitori e vinti. E come si misura, poi?

 
Plebeo. A tutti questi interrogativi c’è una risposta. Primo: se non si adopera la selezione mediante il merito si ricade necessariamente nel nepotismo e nel clientelismo. Secondo: la scelta può essere affidata a persone indipendenti ed essere fatta secondo procedure che escludano l’influenza di pregiudizi sociali o di classe. Terzo: per evitare di dividere la società in due parti, i vincitori e i vinti, basta assicurare a tutti, sempre, una seconda “chance”. In altre parole, vi deve essere una porta girevole che consente di entrare in ogni occasione ed è in grado anche di far uscire in base a criteri meritocratici.

 
Aristocratico. Queste obiezioni non tengono conto del fatto che buoni politici sono in grado anche di scegliere buoni collaboratori tecnici, e della considerazione che la bontà della scelta è nel loro interesse, perché così si assicurano una collaborazione qualificata, tanto più che nelle amministrazioni, specialmente nell’amministrazione italiana, c’è bisogno di persone che parlino ambedue i linguaggi, quello della politica e quello della tecnica.

 

Se non si adopera la selezione mediante il merito, si ricade nel nepotismo e nel clientelismo

 
Plebeo. Questo appena descritto è un mondo ideale, che non esiste nella realtà, come dimostrato dalla vicenda romana dalla quale siamo partiti. La macchina delle forze politiche è sempre meno una macchina sociale e sempre di più una macchina burocratica: basta vedere come sono diminuiti gli iscritti ai partiti. Gli addetti alla macchina sono in molti casi a pieno tempo al servizio delle forze politiche. Si sono costruite carriere interne di persone che mirano a quei posti, anche perché non hanno altro lavoro e spesso neppure altra qualificazione. Abbiamo parlato tanto di tecnici, ma qui si tratta spesso di personale del sottobosco politico, in attesa di “sistemazioni”. Sarebbe interessante che l’Istat cercasse di valutare le dimensioni di questo sottobosco tra Stato e forze politiche, tra professioni e politica, per capire anche la pressione che proviene dalle aspettative di questo vero e proprio nuovo strato sociale.

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