Tremonti e gli altri "piani zeta"
Così un pezzo di M5s cerca un'intesa con Salvini per il Quirinale
Fraccaro propone il nome di Tremonti al leader del Carroccio. Che scarta l'ipotesi, ma la accarezza. Perché col Movimento in subbuglio aumentano le possibilità di una svolta a destra per il Colle. L'ex ministro dell'Interno sonda i capi corrente del fronte rossogiallo, con l'obiettivo di stoppare Draghi. E pensa ai nomi su cui puntare in caso di "piano zeta"
Chi dovrebbe finalizzarla, l’operazione l’ha già accantonata. “Tremonti? Ma sì, facciamolo pure girare, ma è una candidatura che non ha grandi prospettive”, sentenziano i fedelissimi di Matteo Salvini. E dunque, se ha un valore il riportarla, questa ipotesi, è per lo scenario che presuppone, per lo squarcio di verità che lascia intravedere dietro la cortina delle dissimulazioni all’ombra del Quirinale. E insomma no, non è vero che il M5s si sente ancorato stabilmente nel campo del centrosinistra. Non tutto, almeno. Perché una parte dei maggiorenti grillini, gente vicina a Riccardo Fraccaro, deputati che si dicono rappresentanti di “una delle fazioni riconducibili a Luigi Di Maio”, nel fine settimana han contattato due parlamentari leghisti di rango, uomini di governo ai tempi del Conte gialloverde, per proporre una possibile convergenza a destra. Giulio Tremonti, appunto. Uno che nei mesi del grilloelghismo trionfante bazzicava spesso intorno a Palazzo Chigi, e che parecchi dei parlamentari del M5s in cerca di visibilità e relazioni ha saputo coccolarseli nel tempo, invitandoli agli eventi riservati del suo Aspen institute.
E’ un nome, quello dell’ex ministro dell’Economia, che del resto ritorna spesso anche nelle suggestioni degli ex grillini, sovranisti impenitenti, rifugiatisi in Alternativa: i quali per ora hanno indicato Paolo Maddalena, ma non escludono la virata. E siccome anche Giorgia Meloni ha tutto l’interesse a fomentare la strategia del caos puntando sulle opposte pulsioni del Movimento, ecco che pure i suoi emissari hanno accarezzato la soluzione Tremonti. L’idea sarebbe insomma quella di un asse a destra, che da FdI arrivi fino a una parte di grillismo meno incline al credo progressista, passando per il Misto e Forza Italia. Il tutto a dispetto, evidentemente, della radicata ostilità di cui Tremonti gode negli ambienti azzurri.
E dunque che Salvini l’ha pesata, la candidatura di quello che fu il più bossiano degli uomini del Cav., e l’ha però trovata mancante. S’è invece visto confermato in un sospetto che nutre da tempo, e che con l’approssimarsi del voto per il Colle prende i connotati della speranza: e cioè che il M5s è una nebulosa incontrollata di monadi, una polveriera che nel segreto dell’urna potrebbe esplodere davvero. Il dualismo tra Conte e Di Maio è la più evidente di fratture che spesso nel Movimento si diramano lungo i sentieri delle maldicenze, delle invidie personali, delle piccole faide. E perfino chi dovrebbe indicare la rotta nella foschia quirinalizia, e cioè quel Beppe Grillo ch ieri s’è ritrovato pure indagato a Milano per traffico d’influenze illecite a causa dei finanziamenti dell’armatore Vincenzo Onorato al suo SacroBlog, finisce col diventare motivo di angoscia. E anche su questa i deputati del M5s s’interrogheranno giovedì sera, in una riunione via Zoom.
E’ per questo il leader della Lega, che pure ha ristabilito rapporti di civiltà con Conte, non manca di confrontarsi col ministro degli Esteri. E lo stesso d’altronde fa coi capicorrente del Pd, consapevole che i regolamenti di conti interni ai dem potrebbero aiutarlo a trovare la soluzione del rompicapo del Colle. Nel quale Salvini non esclude alcuna prospettiva, neppure quelle che vengono liquidate al momento come “piani Z”. Perché l’ideale sarebbe trovare un nome autorevole, garante dell’affidabilità di un futuro governo leghista nelle cancellerie europee. E però, con l’esclusione di Mario Draghi, che Salvini continua a voler preferire a Palazzo Chigi, di profili su cui puntare ne restano pochi. Letizia Moratti pare sia invisa a troppi lumbàrd per escludere il rischio di un impallinamento; Marcello Pera è un galantuomo, ha la benedizione del suocero Denis Verdini, ma forse privo di quello standing internazionale auspicato. Per Franco Frattini, dopo la promozione a presidente del Consiglio di stato, solo pochi giorni fa, un ulteriore trasferimento pare improbabile. E così, sfogliando la margherita, Salvini si ritrova a valutare quel Pier Ferdinando Casini, fresco di sopraggiunta negatività al Covid, di cui in passato ha detto ogni male, e che però ha imparato a rivalutare: sull’ex enfant prodige della Dc sarebbe più facile, in caso di stallo, far convergere anche i voti di un pezzo di Pd. Oppure c’è Elisabetta Casellati, la forzista di seconda fila che Salvini, col piglio del kingmaker, dopo aver fatto consumare la candidatura del berlusconiano Paolo Romani, nel 2018 fece eleggere alla presidenza del Senato tramite un’intesa col M5s di Di Maio e mettendo il Cav. con le spalle al muro. Lo stesso schema su cui le diplomazie gialloverdi hanno iniziato di nuovo a fare congetture.