La corsa al colle
“Draghi è migliore dei politici. Ora il Pd lo candidi al Quirinale”. Parla Tronti
"Bisogna cambiare schema. Perché il clima intorno al premier si è deteriorato e il suo governo entrerà in sofferenza. La sua maggioranza è anomala e già divisa da litigi, è formata da inaffidabili. Sono preoccupato. Per tutte queste ragioni ho maturato la convinzione che debba essere eletto presidente", dice il filosofo marxista
Il filosofo marxista Mario Tronti, l’antico bastone del Pci, il padre dell’operaismo, “opererebbe” per eleggere Mario Draghi al Quirinale? “Assolutamente sì. Deve essere eletto al Colle”. Perché? “Perché bisogna cambiare schema. Perché il clima si è deteriorato. Perché il suo governo entrerà in sofferenza. La sua maggioranza di governo è anomala. E’ già divisa da litigi, è formata da inaffidabili. Sono preoccupato. Per tutte queste ragioni ho maturato la convinzione che debba essere eletto presidente”. Cosa teme? “Temo che il peggiore ceto politico di questo tempo possa bruciare l’uomo migliore che ci ha consegnato questo tempo disgraziato”.
E con la sua voce che è gagliarda, quella di chi è allenata al combattimento delle idee, da 90 anni, quella di chi fa pugilato con la ragione e l’appartenenza, aggiunge che il nome di Draghi lo avrebbe dovuto pronunciare la “sua” sinistra, il Pd, l’ultimo partito che lo ha eletto, “un partito che non ha preso l’iniziativa”. Cosa sarebbe accaduto? “Se il Pd avesse avuto la forza di fare il nome di Draghi, la candidatura di Silvio Berlusconi non sarebbe arrivata. Avrebbe disinnescato, sfidato la destra e infine l’avrebbe smascherata. Per qualsiasi leader è pesante dire “no” a Draghi”. Perché il Pd non l’ha fatto? “Preferisce la subalternità al M5s, un movimento senza prospettiva, senza spessore, di cui non mi fido. Quando penso a Draghi penso all’aforisma di Nietzsche. ‘Più voli in alto tanto apparirai lontano a chi non può volare’. La politica lo sopporta ma in realtà non lo ama. Quanto più avanza Draghi tanto più in basso scendono i partiti”.
Rivela che pure lui, Tronti, il filosofo dell’acciaio e della rivoluzione, ha cambiato ‘schema’: “Il ceto politico che circonda Draghi non è un ceto alla sua altezza, è il peggiore del Novecento. Anche io ero tra quelli che volevano che Draghi restasse premier. Oggi no. Nell’eventualità di una vittoria del centrodestra alle prossime elezioni, vittoria che non escludo, solo Draghi ci garantirebbe in Europa. Impedirebbe che il paese scivoli verso tentazioni sovraniste, avrebbe la capacità di ‘trattenere’ l’esito del voto”. E come tutti i pensatori che lavorano sulle ‘obiezioni’, pure Tronti ragiona su quelle ‘finali’. Si ripete infatti che senza Draghi sarebbe impossibile formare un altro governo e che nessuno sarebbe capace di spendere le risorse del Pnrr, fronteggiare la pandemia. E Tronti risponde che è probabile e lo dice con la serenità di chi non trova più un collegamento tra “l’essere e l’apparire”. Non sarebbe una catastrofe? “Draghi assicura che quelle risorse possano essere spese bene, ma lo può garantire meglio da presidente della Repubblica. La partita si gioca in Europa e non all’interno della nazione. E’ quasi certo che ci sarà l’ingovernabilità, ma non è impossibile formare un governo tecnico per poi andare a elezioni”.
Le elezioni? “Non ho il terrore del voto. L’attuale Parlamento non rispecchia più gli attuali rapporti di forza. Cosa si dice sempre? Che è delegittimato. Bene. Prima si scioglie e meglio è”. Profetizza dunque “un governo tecnico, per un tempo breve, che possa varare una nuova legge proporzionale con uno sbarramento”. E poi dice una cosa che somiglia molto a un pensiero di Leonardo Sciascia a proposito della colpevolezza, di un altro genere di colpevolezza, un pensiero che Sciascia dicono raccontasse agli amici: “Non era colpevole, ma risultava antipatico. Era troppo colto. Era più che colpevole”. Vuole spiegare, e lo spiega, che il pericolo di Draghi è Draghi stesso. “L’ostilità nei suoi confronti deriva dal fatto che è un uomo di rigore, di spicco, di competenza. Quando si scrive di politica occorrerebbe maneggiare l’antropologia e la psicologia. Giuseppe Conte diffida ad esempio di Draghi non tanto perché Draghi ha preso il suo posto ma perché con Draghi sa di non potere competere”.
Chi sono quindi oggi i nemici del premier? “Questo ceto politico scadente. C’è un crollo della qualità. Si parla tanto di Covid ma c’è un altro virus, quello dell’anti politica che da trent’anni contagia senza sosta. E’ un virus per cui non esiste vaccino. Il Parlamento chiamato a eleggere il prossimo presidente della Repubblica è il risultato di un grande rutto. Le ultime elezioni sono state questo. Una devastazione. Un rutto”. Il taglio dei parlamentari non è stata una battaglia del M5s? “All’inizio ero contrario mentre oggi sono a favore ma non per le ragioni del M5s. Lo sono perché prima di qualsiasi riforma serve una selezione più rigorosa dei parlamentari. Con Draghi al Quirinale, i partiti hanno la grande occasione per ripartire. Il Pd ne ha una in più. La bandiera di questo partito dovrebbe essere la riqualificazione della rappresentanza”. Che idea ha del grande elettore? “E’ come nel libro del Manzoni. Alla fine si ergeva la figura di don Abbondio. Oggi, a pensarci, il vero protagonista non è neppure Draghi”. Chi è? “E’ l’onorevole Ciampolillo”.