Foto: Ansa/Maurizio Brambatti

Polveriera Carroccio

Mentre Salvini guarda al Quirinale, in Veneto la Lega scoppia

Francesco Gottardi

L’epicentro a Padova, dove la base del partito sbuffa e accusa: “Col centralismo non c’entriamo nulla, i vertici tornino a dialogare con i territori”. Almeno due storici militanti a rischio espulsione

La Lega come house of cards. Nel senso più letterale del termine: ne togli una e trema tutto il castello. A Roma, Matteo Salvini si gioca il tutto per tutto nei Quirinalia – “se sbagli sei finito”, l’ha ammonito perfino Renzi – dopo settimane di estenuanti trattative. Nel frattempo, in Veneto, la base del Carroccio brontola.

Perfino insorge, a sentire Marcello Bano, sindaco di Noventa padovana: “Ci sono scelte dall’alto che gli amministratori locali non digeriscono. Purtroppo alcuni membri del partito, dopo essere andati a Roma, hanno perso contatto col territorio”. Il leader del Carroccio liquida la questione: “Uno così va cacciato”. Amen. Ma le schermaglie di questi giorni sono solo la punta dell’iceberg. La madrepatria – forte delle solite percentuali bulgare – soffre più che mai la Capitale – che per la vecchia Liga resta sempre colonia.

L’esempio più eclatante è Padova, appunto. In primavera il capoluogo di provincia eleggerà il nuovo sindaco e per la Lega correrà Francesco Peghin, ex presidente locale di Confindustria. Una scelta caldeggiata sia da Massimo Bitonci, già primo cittadino, sia dal commissario regionale Alberto Stefani. È arrivato subito il placet di Salvini, quello di Forza Italia e si attende l’ok di FdI. Con tutta la delicatezza del caso, perché la candidatura leghista a Padova, per compensazione, spalancherebbe le porte a un meloniano a Verona – dove tutto è ancora in alto mare. Ma lungo il Bacchiglione, la carta Peghin è invisa un po’ a tutti. Pezzi grossi compresi: il consigliere regionale Fabrizio Boron, alfiere di Zaia e iscritto da trent’anni, sostiene che la campagna elettorale padovana è stata verticistica e poco condivisa. Al Gazzettino attacca: “Stefani dice che i panni sporchi si lavano in casa. Benissimo. Ma qual è la nostra casa, esiste ancora?”

Sembra di sentire l’eco di Flavio Tosi – già espulso dal Carroccio in tempi non sospetti. Bano, che è a un passo dal fare la stessa fine, da pesce più piccolo ha sbattuto in faccia quello che pensano tanti altri: “Peghin è la brutta copia di Giordani”, l’attuale sindaco di Padova sostenuto dal centrosinistra. “Per riprenderci la città avrei scelto tutta la vita Roberto Marcato”. Un profilo fin troppo eloquente, per far capire gli umori della Lega in regione. Marcato è l’influente assessore per lo Sviluppo economico in Veneto: altro uomo fidato di Zaia, forse ancora più moderato del presidente. E negli ultimi mesi ha messo più volte il bastone fra le ruote al sovranismo ruvido di Salvini. Nell’ordine: si è preso gli insulti dell’elettorato per aver ricordato Gino Strada sui social; fa campagna contro i no vax, dicendosi favorevole al green pass già in estate; dopo il caso Durigon ha rivendicato fermamente l’origine antifascista della Lega. “Cosa c’entriamo noi col centralismo, il nazionalismo, il culto di Roma? Assolutamente nulla”. Adesso Marcato, a Telenordest, butta acqua sul fuoco: “Abbassiamo i toni tutti quanti”. Poi aggiunge: “Ringrazio i colleghi per il sostegno, la scelta del candidato sindaco spetta al partito ma per quanto riguarda le espulsioni ci vuole cautela: è importante sintetizzare le diverse sensibilità e talvolta le intemperanze dei militanti. Perché il nostro è un partito sanguigno, di territorio”. Non di diktat dall’alto, sottointeso.

Oltre a Bano rischia almeno una sospensione anche Toni Da Re, eurodeputato trevigiano iscritto alla Liga Veneta sin dal 1982 ma ora ai ferri corti dopo alcune dichiarazioni andate di traverso a Salvini: “L’ambiguità del mio partito e del mio segretario sui vaccini mi mette a disagio da tempo. È sempre stata ingiustificabile, ora diventa insostenibile”. Sulla vicenda è intervenuto laconico Gian Paolo Gobbo, ex sindaco di Treviso e storico ideologo della Liga: “I vertici devono tornare a dialogare con la base. Al di là dei casi Bano e Da Re, c’è un problema politico molto più profondo”. Crisi esistenziale.

Per tutto il Veneto verde, la litania è sempre la stessa: pancia in subbuglio, testa al Colle. Lontana. Ma Salvini, almeno su una cosa, può stare tranquillo: capipopolo pronti a fargli la guerra, all’orizzonte non se ne vedono. “Siamo qui per parlare di Covid”, non fa che dire Zaia in conferenza. Per ora.
 

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