Enrico Letta ha valicato il Rubicone e cerca voti per portare Draghi al Colle
Il segretario del Pd rifiuta l'ipotesi di votare un nome di centrodestra e avvia le consultazioni con le componenti parlamentari. Le sponde nel gruppo Misto, l'irritazione per le strambate di Conte, l'agenda parallela con Salvini. Ma mezzo Partito democratico è spaventato dall'ascesa del premier al Colle
Recide i legami per poterne costruire. Prova a disarticolare la rete del malcontento che sta tessendo chi vuole imbrigliare la candidatura di Mario Draghi, che è la sua candidatura. Quando a metà pomeriggio Enrico Letta arriva al Senato, il chiacchiericcio intorno all’incontro tra Giuseppe Conte e Matteo Salvini riempie l’aria della buvette. Lui dissimula col garbo di chi dice che “in questa fase tutti parlano con tutti” il fastidio per la volubilità dell’alleato grillino. Sta lì, Letta, perché le sue capogruppo gli hanno segnalato che uno degli epicentri dell’antidraghismo sta nel Misto: e allora il segretario va a far visita a Loredana De Petris. Inizia così una consultazione permanente, in cui il segretario del Pd, insieme a Debora Serracchiani e Simona Malpezzi, sonderà le varie anime del Transatlantico. Ma poi inevitabilmente si torna a Conte, che salta da un timore all’altro, e lascia trapelare che al leader della Lega è andato a prospettare, tra l’altro (e l’altro è anche Paola Severino), un Mattarella bis. Letta era avvertito che il fu avvocato del popolo è sempre stato più attento a non indisporre i suoi riottosi gruppi parlamentari che non a guidarli. E per questo al Nazareno confidano nella capacità di persuasione di Luigi Di Maio. Che in effetti presidia tutti i tavoli – i suoi emissari compaiono magicamente su ogni fronte: a via della Scrofa per parlare della Moratti coi leghisti, in un corridoio del Senato per ragionare sull’ipotesi Casini – ma con più zelo si spende in favore del “suo” premier. Lo ha fatto mercoledì spiegando a Conte che “i gruppi si convincono da soli, purché non li si spaventi”, e per questo bisogna rilanciare il patto di legislatura.
E così lungo l’asse che va da Di Maio a Roberto Fico matura forse un primo convincimento contiano in senso di Draghi: “Ai nostri parlamentari potremmo dimostrare di aver tentato tutte le strade, prima di dire che l’unica percorribile è Draghi”. Solo che nel permanere del caos, si alimentano le paure. Per questo il segretario ha chiesto a Graziano Delrio di provare a smuovere la ferma opposizione di Davide Crippa. Ma il pranzo al ristorante di Montecitorio dei due s’è risolto col capogruppo grillino che s’è alzato ribadendo che no, “per me Draghi non può andare al Quirinale”. Lo stesso ristorante, peraltro, dove poco prima anche Marina Berlinghieri, esponente del direttivo del Pd, si faceva espressione dello scetticismo di Franceschini sull’ipotesi: “Io non lo voto e non lo voterò”.
Il che spiega come in fondo Letta, oltre a dover evitare che il fronte dell’antidraghismo assedi il Nazareno, deve badare che non dilaghi dentro il proprio partito. “Perché dall’ultima direzione di sabato scorso, quando quasi tutte le componenti hanno espresso la loro volontà che Draghi resti a Chigi, non si è prodotto alcun fatto politico in virtù del quale chi era spaventato dalla fine della legislatura possa dirsi rassicurato”, spiega Matteo Orfini. Certo, Letta ha scombinato la geografia delle correnti. Nella Base riformista di Lotti e Guerini, il ministro della Difesa si dice comunque possibilista su Draghi, ed è seguito da gente come Enrico Borghi, Alessia Rotta o Alfredo Bazoli. Anche dalle parti di Orlando c’è chi si va convincendo. Le due capogruppo convinte lo sono già. Gli altri, Letta proverà a persuaderli domenica, nell’assemblea dei grandi elettori dem. “Perché una volta che la candidatura di Draghi si produce – ragiona l’ex premier – chi potrebbe opporvisi?”. Ragionamento fondato, se è in fondo quel che teme anche Salvini. “Ma un blitz di Letta è possibile?”, ha domandato ai suoi pontieri. E quelli dal dem Dario Stefano si sono sentiti rispondere che “qualunque nome imposto dal segretario senza l’accordo dei gruppi finirebbe impallinato, anche se quel nome è Draghi”. Recidere i legami, per Letta, non sarà facile.