Transizione Chigi
Draghi incorona Colao al posto di Franco, i partiti approvano le ultime misure
I saluti di Renato Brunetta, l'imperturbabilità di Draghi che sposta competenze dal Mef al ministero di Colao. I successi di Giorgetti e Orlando. Va in scena quello che può essere l'ultimo Cdm di questo governo
Hanno brindato “a norma di legge”. Il dpcm sul green pass era infatti il “diplomatico” che si addenta per iniziare, mentre il decreto ristori era il bicchiere sollevato. Giancarlo Giorgetti alzava il suo calice che si chiamava “indennizzi”. È stato dunque il Cdm estote parati, il giorno delle carezze e dei testamenti. Mario Draghi ha ad esempio spostato la gestione della tessera sanitaria dal Mef di Daniele Franco al ministero di Vittorio Colao.
Come nel ciclismo, lo sport che ama, adesso è Colao il “fuggitivo”, l’uomo che stacca gli altri, l’Eddy Merckx di governo. Sta pedalando per fare il premier. Veramente avrebbe quindi meritato un rinfresco, questo Cdm che per i ministri tecnici, raccontano, sembrava la vigilia dell’uscita mentre per i ministri politici l’uscita che anticipa l’entrata, quello che nel linguaggio bellico è “l’inizio delle ostilità”. I tre del M5s cercavano in tutti i modi di sorridere e per farsi coraggio si confidavano che pure i loro “compagni” del Pd sono tra quelli che rischiano di perdere il ministero: “Pensa a Dario Franceschini. Anche Orlando dicono che sia preoccupato”. E però Orlando, che per geografia è corsaro e quindi “scafato”, otteneva la cassa integrazione scontata, l’esonero del contributo addizionale del 9 per cento e, in cabina di regia, provava pure a farsi approvare delle misure per contrastare il dumping contrattuale.
E’ sul serio come al fronte, di notte, quando i soldati elencano le storie di chi sta peggio e ci si riscalda scambiandosi la fiaschetta dell’acquavite. Renato Brunetta che potrebbe diventare premier ad interim, per tutti i suoi dotti capelli bianchi, ma per soli quattro giorni, come prevedono le norme, era il più lieto. Si esercitava e praticava il baciamano da presidente formale ma “con pieni poteri”. Alla fine ha salutato ministri, capi di gabinetto e con una tenerezza nuova perché, come a teatro, è nelle prove che si misura la tenuta in scena e lui l’ha superata con gli applausi. Giorgetti, che era invece scomparso in queste settimane e che aveva disertato gli ultimi consigli dei ministri, già di mattina, sempre durante la cabina di regia, aveva istruito la sua squadra, i leghisti Massimo Garavaglia ed Erika Stefani, perché, “tutti proveranno a prendersi qualcosa. Noi di più”. C’è un motivo se rimane lui il più dritto dei leghisti. Mentre Matteo Salvini giocava all’allegro Quirinale, la sua urgenza era farsi approvare, riuscendoci, misure contro il caro bollette (1.2 miliardi) credito di imposta, ma anche una riforma “del registro pubblico contro il telemarketing selvaggio”. E per dimostrare la lealtà al suo segretario faceva aumentare di 30 milioni il fondo delle discoteche e poi alzare a 390 milioni quello per le imprese colpite dalla pandemia. Lo hanno visto parlare con Orlando e con Mara Carfagna, ma solo alla fine quando tutte le delegazioni ministeriali, una carovana, studiavano le stanze e forse elaboravano cosa sia stato quest’anno di governo “eccezionale”.
Chi c’era, e la sapeva descrivere, dice che ieri l’aria era “effervescente” che come si sa è un processo che precede un’esplosione. Politologi, antropologi si sono sempre torturati intorno al concetto di leadership e quasi sempre la raccontano come i ministri raccontavano ieri quella di Draghi: “Quello che poteva essere il suo ultimo Cdm era perfettamente uguale al suo primo”.
Dicono che i ministri guardassero Draghi e che ci trovassero ancora più tenacia della solita che di solito è molta. C’è insomma una lezione anche in queste sue ore che non sono quelle dell’agonia ma dell’intensità. Tra le disposizioni di Draghi (finali?) c’è perfino questa decisione di consegnare ai tecnici di Colao, al suo nuovo dicastero, la competenza per tutto ciò che riguarda i dati sanitari, il vecchio codice fiscale che digitalizzato può diventare una specie di stargate. E’ stato finora gestito dalla Sogei, che è una società di servizi informatici, che fa riferimento al Mef e dunque a Franco, il “timido” Franco.
C’è chi ha visto in questo “trasferimento”, in questo passaggio di consegna, anche quello della forza, lo spread tra il tecnico e il manager, il dissidio eterno tra lottatori e contemplatori. E forse un giorno varrebbe la pena dedicare un grande capitolo a questa gara che non è una gara, ma solo un incrocio della sorte, tra il ragioniere che con Draghi ha lavorato per tanti anni, ma forse non adatto, in qualsiasi caso, a prendere il suo posto e l’uomo di impresa, che è sicuramente il più adatto oggi a occuparlo. Somiglia a un antico racconto di Fitzgerald “Due per un centesimo”. E’ una storia che ha come oggetto un nichelino. Uno lo perde e rinuncia all’occasione di cambiare vita, un altro lo trova e accetta la sfida di tentarne una nuova. Un anno fa anche per Draghi, il governo, era solo un nichelino.