Salvini tratta con Draghi, ma ha un problema con Berlusconi
Il capo della Lega consiglia al premier di chiamare il Cav., mentre in Forza Italia chiudono all'ipotesi: "Né gli imprenditori né Gianni Letta ci convinceranno", dice Gasparri. "C'è un problema coi numeri", conferma Carfagna. Ma per Durigon l'accordo c'è già, e si discute sui ministeri. L'ipotesi Piantedosi al Viminale. E Candiani lavora per Casini: "Super Mario non andrà lontano"
L’incontro che doveva essere risolutivo è servito a metà. O magari è servito, ma non è bastato. Almeno stando al resoconto che Matteo Salvini ne offre a Enrico Letta, e che fa arrivare alle diplomazie degli altri partiti attraverso i suoi colonnelli. E così il vicesegretario del Carroccio Andrea Crippa, ragguagliato dal capo a ora di pranzo sullo stato dell’arte delle trattative, arriva in Transatlantico e sbuffa: “Draghi? Fa il premier, e lì resta, almeno per ora”. Lo stesso Riccardo Molinari, capogruppo alla Camera e pontiere attivissimo, fa il segno del pollice verso ai pontieri del Pd che vanno a chiedergli lumi dopo: “Per ora restiamo fermi sulla rosa di nomi di centrodestra”. E del resto a tribolare le negoziazioni, tra Salvini e Draghi, c’è anche l’ombra incombente del convitato di pietra: il Cav.
Perché se è vero che, durante il riservatissimo colloquio mattutino, il capo della Lega si è premurato di invitare il premier a chiamare Arcore per sbloccare la situazione, vuol dire che nel Carroccio si ha piena consapevolezza della ferma contrarietà di Berlusconi all’idea di benedire l’ascesa al Colle di Draghi. Basta d’altronde sentire il modo in cui Anna Maria Bernini da un lato e Sestino Giacomoni dall’altro, e cioè due dirigenti azzurri che nella geografia di FI starebbero su fronti opposti, bocciano con unanime nettezza la prospettiva di un trasloco del premier al Quirinale. “Al momento Draghi non ha i voti”, constata con freddezza Mara Carfagna coi deputati campani. Maurizio Gasparri, intercettato in mezzo al Transatlantico da due dei più integralisti antidraghiani nella galassia grillina, Primo Di Nicola ed Elio Lannutti, li rassicura a modo suo: “C’ho una lista lunga così di imprenditori che mi molestano, compreso il mio amico Gianni Letta, per convincermi che bisogna mandare Draghi al Quirinale. Ma più loro insistono – sbotta il senatore di FI – più io mi rifiuto”.
E insomma si capisce che, date queste premesse, quando a sera Salvini ribadisce la volontà di lavorare perché “nelle prossime ore il centrodestra unito offra non una ma diverse proposte di qualità”, le quotazioni di Draghi sembrino precipitare. E però, al tempo stesso, va registrata la cautela predicata da Giancarlo Giorgetti, che ai deputati leghisti spiega che “la trattativa è lunga, se servirà più tempo per trovare un risultato migliore non c’è da strapparsi i capelli”. Il che sembra dare credito a un certo ottimismo che, a dispetto delle apparenze, trapela da Palazzo Chigi: come che insomma, dietro la cortina di fumo, in realtà la trattativa proceda. Che è poi quel che Claudio Durigon, leghista che conta, confessa a un collega di FI: che insomma l’accordo, Draghi e Salvini, ce l’avrebbero già, e che i capricci del leader del Carroccio servano a incassare meglio nella trattativa del governo. A questa tesi deve credere il deputato Giuseppe Bellachioma, che abbraccia nel cortile di Montecitorio quel Nicola Molteni che è la sentinella di Salvini al Viminale: “Ecco il prossimo ministro dell’Interno”. Sarebbe un po’ troppo, per pretendere che M5s e Pd accettino. E forse il pettegolezzo più accreditato è che in realtà Salvini s’accontenterebbe di vedersi consegnato lo scalpo di Luciana Lamorgese, rimpiazzandola con un prefetto a lui più vicino, come Matteo Piantedosi.
Di certo c’è che Salvini si gode una giornata di centralità assoluta, in cui tutti i leader gli tributano rispetto sperando di trascinarlo nella loro direzione. Enrico Letta gli espone le virtù di quella promozione di Draghi che Giuseppe Conte, che pure del segretario del Pd sarebbe alleato, prova a stigmatizzare. Matteo Renzi insiste nel convincerlo a intestarsi Pier Ferdinando Casini, che però Letta gli chiede di bruciare. E lui gioca a fare l’anguilla: enigmatico e silente. Sapendo, certo, che la strettoia s’avvicina, e che nel perdurare dell’incertezza le sue truppe potrebbero muoversi in ordine sparso. Perché se c’è chi, come Claudio Borghi, auspica un prova di forza che riabiliti l’asse gialloverde, partendo magari dal nome di Franco Frattini, c’è anche chi si muove in direzione opposta. Gente come quello Stefano Candiani, già fedelissimo di Salvini al Viminale, che da fermo sostenitore di Casini avvicina la dem Alessia Rotta per proporle di “morire democristiani”. La deputata del Pd lo fulmina con una battuta (“Allora votiamo Mattarella, no?”), ma non lo convince a desistere: “Draghi da oggi è entrato ufficialmente nel ruolo di candidato – dice il senatore – che è ben più difficile di quello di eletto. E il filo della trattativa che oggi ha aperto è sottilissimo, e non gli permetterà di fare lunga strada”. Lunga sarà invece la notte di Salvini. “Lunga e piena di incontri”, dicono i suoi. Nell’attesa dell’assemblea dei grandi elettori leghisti, convocata oggi alle 11.