Il gioco Quirinale
"Il solitario" di Draghi. Sorpreso dall'ostilità dei partiti: "Adesso facciano presto"
Rammaricato di essere definito "un monarca", preoccupato (insieme a Mattarella) della crisi Ucraina e dello stallo in parlamento. Per i leghisti non è ancora da escludere. E lui: "Cosa aspettano?"
Scacchi e solitario. E’ cosi che inganna la sua attesa. Nell’ufficio di Palazzo Chigi, per respirare e ragionare, Mario Draghi apre l’ipad e si sfida al “solitario” che è la sua palestra della mente insieme alla scacchiera. E al contrario del re, il pezzo dall’infinito valore, dicono che ancora si rammaricasse per essere stato definito “sire” e “monarca” “perché non lo sono. Quella che chiamano antipatia e freddezza è l’unico modo che mi resta per difendere il privato”
Fino a quando si scrive, perfino dalla Lega, ancora, si diceva: “Cadranno altri pezzi e Draghi rimanere tutto d’un pezzo”. Luca Zaia che è il presidente del Veneto, uno che da ministro dell’Agricoltura si infangava in campagna per “capire meglio la materia”, alla Camera, assicurava che non è finito nulla e che il vero guaio è che non è ancora iniziato. Alla napoletana, prendeva in prestito il verso di “Napoli Milionaria”, quello di Eduardo, e lui che un po’ un medico e che conosce malattie e rimedi, sentenziava che “adda passà ‘a nuttata”. E’ vero che, fino a tarda sera, Salvini continuava a ripetere, ai giornali, alle televisioni, che “Draghi deve rimanere a Palazzo Chigi” ma è anche vero che faceva dire ai suoi, sempre sottovoce, che “Draghi è la carta che non va mai esclusa”. E certo fa sorridere questo continuo uso di metafore, “la carta coperta”, “presto scopriremo le carte” fatto per sabotare un uomo che appunto ha la passione del “solitario”. Un ministro confermava che anche ieri, Draghi, non stesse “negoziando”, almeno non lui, ma che al posto suo, e lo raccontavano i leghisti, lo stesse facendo di sicuro Renato Brunetta e poi Luigi Di Maio. In un’occasione, al ministro degli Esteri, gli avrebbero sentito dire: “Con Draghi sto imparando molto. Di Conte non voglio aggiungere nulla”. Ed era tutto.
Andrea Orlando, che è il frangente del Pd, il compasso nautico del socialismo, misurava la distanza, quella che c’è tra il Quirinale e Palazzo Chigi, quella che al momento impedisce di sbloccare quest’elezione in favore di Draghi: “E’ Salvini che deve passargli il pallone”. Lo confermava pure Stefano Fassina che tutto è tranne un fedelissimo del premier. E chissà cosa pensa, anzi, si sa, Sergio Mattarella che come Draghi è preoccupato ma “per la crisi Ucraina, la pandemia, la crisi energetica”. Sempre ieri hanno scritto il suo nome sulla scheda 125 volte ma solo per intorbidare le acque. Gli hanno chiesto ancora, dalle parti del Pd, di ri-pensarci, e ancora, il presidente avrebbe risposto di no. Al Quirinale, che è la “casa Italia”, l’appartamento che nessuno ha saputo arredare meglio di Mattarella, sono tutti angosciati. Ed è l’angoscia di chi vede un patrimonio, quel governo Draghi, che si è costruito con tanta cura, in ogni caso minacciato. E’ per tutte queste ragioni che, al Colle, si ragionava sul nome di Giuliano Amato e non tanto perché è gradito a Draghi, ma perché potrebbe ancora salvaguardare un governo con Draghi premier.
E’ stato scritto che Draghi abbia intenzione di lasciare la guida dell’esecutivo nel caso i cui non si verificassero queste due ipotesi: la riconferma di Mattarella o l’elezione di Amato. E però, da Palazzo Chigi, ci tenevano a precisare che “solo chi non lo conosce può credere che sia pronto a lasciare il governo. Non lo si conosce ancora”. E forse è vero. Non è riuscito a comunicare che è stato tutto un grande errore: la riservatezza è stata scambiata per arroganza, il sapere per boria, il “lei” al posto del “tu”, come alto tradimento all’italianità. A prescindere da come andrà quest’elezione, subito dopo, bisognerà aprire una grande discussione culturale sul perché, e se è vero, che l’italiano continui a preferire la “pacca” al posto del “salve” e sul perché non voler fare sapere nulla della propria vita privata sia l’anticamera dell’antipatia. Quando Draghi ha sentito dire ai leader “stiamo lavorando a una soluzione”, avrebbe replicato: “Che lavorino è un bene, se fanno presto è ancora meglio”. Ed è quasi certo che anche questa frase possa essere scambiata come una freddura, l’ennesima prova che non vuole perdere tempo e che se invece “lo avesse perso a parlare con i parlamentari”. Un deputato: “Ma lo avete visto? E’ un solitario…”.