lo scontro rossogiallo
La guerra M5s coinvolge Mattarella e la Belloni. Conte sfida Di Maio: "Non gli conviene un congresso"
Letta è in balìa della resa dei conti grillina e resiste su Draghi grazie all'assist dello zio Gianni
“In questo momento esatto Draghi prenderebbe solo due voti dal Pd: uno da Nicola Zingaretti e l’altro da Enrico Letta. Stop”. Il deputato di area Dem se la ride, ma l’iperbole rende bene. E’ l’inizio della quarta votazione, quella che scatena la corsa del sacco fra Luigi Di Maio e Giuseppe Conte per intestarsi i 166 voti di Mattarella. I rossogialli dovrebbero votare scheda bianca. Ma l’indicazione la rispetta solo il Pd con tanto di organizzazione militare. I deputati-vedette Fiano, De Luca, Lorenzin e Morassut hanno ordine di “cronometrare” i secondi trascorsi nel tunnel dai Grandi elettori dem. Se passano più di 10 secondi qualcuno ha scritto Mattarella.
Lo spirito del capo dello stato aleggia sull’Aula, ma viene messo a riparo da chi, per pudore e affetto, ne diventa l’esegeta: i suoi principi si basano sul rispetto della dottrina costituzionale. Dunque è no, fortissimamente no. Per ora. Qui si campa alla giornata. Il Transatlantico è il falò delle vanità. E anche, soprattutto, dei candidati da abbrustolire.
Caso di scuola: Elisabetta Belloni, capo del Dis, nostra signora degli 007. Rientra nella terna ipotetica di Letta (molto dopo Draghi e molto prima di Casini). Giorgia Meloni dice che non le dispiace come profilo. Ma poi c’è subito il dibattito, aperto dai partiti, sull’opportunità di due tecnici ai vertici delle istituzioni, con uno di questi che ricopre un ruolo così unico. I peones portano i cellulari alla bocca: “Ci starà ascoltando?”. Sì, il clima fra le truppe è questo: ubriacatura e sbracatura. Luigi Di Maio, che ha lavorato con Belloni al ministero degli Esteri, racconta ai deputati che lo rincorrono per sapere che tempo fa: “Elisabetta? Se va lei al Colle per noi è perfetto. Alto profilo, un’amica”. Conte all’inizio aveva detto di no, poi ora dice di sì, forse ni. I maligni appassionati di musica spiegano che il suo sguardo gli ricorda il crollo di una diga. Quando la diplomatica è diventata capo del Dis con il governo Draghi è saltato un altro pezzo di potere contiano (ha preso il posto di Gennaro Vecchione). Ma dov’è Conte? Eccolo. Finalmente si è palesato. Va fatta questa domanda all’ex premier: ma non è che Luigi Di Maio sta facendo un vero proprio congresso nel M5s sul nome di Draghi? Conte al Foglio risponde: “Non credo gli convenga”.
In Sala Siani, al secondo piano, si odono dei ragionamenti abbastanza concitati di Paola Taverna sui 166 voti finiti a Mattarella. Urla bestiali. Altro che rossogialli: Pd e M5s sono due pianeti che non si toccano. Se non attraverso spezzoni. Di Maio sta con Letta su Draghi e questo si sa. Ma ha trequarti di partito che oggi – ripetiamo: oggi – non voterebbe. Al segretario del Pd viene rinfacciata eccessiva “sicumera”. E mancanza di un soffice piano B. Lo accusano pure di non gestire bene i rapporti con Matteo Salvini. L’impressione è che giochi di rimessa e interdizione davanti a un confuso centrodestra che fa del movimento (o dello schema 5-5-5) uno stile di vita. La telefonata fra Silvio Berlusconi e Mario Draghi, seguita dall’arrivo di Antonio Tajani a Palazzo Chigi è la notizia a cui si appende Enrico Letta, e per la quale c’è da scommetterci ringrazia di avere un zio di nome Gianni. Il segretario del Pd a tarda sera sul nome del premier dice di aver riallacciato un filo con Lorenzo Guerini nel nome dell’atlantismo e continua a tenere rapporti solidi con Di Maio. Il problema è l’iniziativa di Salvini. Capace di tutto. Davanti al nome di Sabino Cassese, agitato come una clava dal leader della Lega, il Nazareno va in crisi. Allarme rosso. “Come faremmo a dirgli di no, al di là dei metodi poco urbani?”. Ancora una volta in una notte che si preannuncia, come da romanzo, buia e tempestosa si crea l’asse fra Renzi e Letta. I due dicono e fanno dire dai rispettivi colonnelli: “Questo non è un casting, nemmeno il Grande fratello o X factor”. Renzi è convinto che prima o poi “ci sarà un king”, l’uomo in grado di cambiare verso alla partita. Adesso però ci sono ancora sospetti incrociati. Il centrodestra si vede, magari litiga e si azzanna. Gli altri, i demogrillini, no. Non si fidano di Giuseppe Conte, dalle parti di Letta. Che viene messo in difficoltà anche dall’ipotesi Giampiero Massolo (che da lui, quando era premier, venne nominato al capo del Dis). In serata, ma è un ballon d’essai forse, rispunta il nome di Franco Frattini. Ma nessuno crede in una sponda contiana. La notte è lunga e potrebbe non portare consiglio. Un amico di Salvini alla fine di questo articolo spiffera al Foglio questa chiave: “Le stanno provando tutte, consapevoli che andranno su Draghi”. Ma chissà.