religione e paradosso
L'unico modo per uscire dallo stallo alla messicana è Draghi
Con Draghi al Quirinale, il governo può andare avanti. Il resto è goliardia sfascista. Paradosso è credere che uno possa subire un veto e poi restarsene lì, impallinato, a Palazzo Chigi
Che se ne rendano conto o no, alcuni capi elettorali in Parlamento stanno incorrendo nel paradosso dei paradossi. Questo. Finché reggeva la strana pretesa di candidare un nome del centrodestra, avanzando l’argomento della “prima volta da anni” e di una “maggioranza relativa con onori e oneri di candidatura”, vabbè. Sono argomenti fallaci e prepolitici, forieri di quello che Minuz ha chiamato con formula perfetta lo “stallo alla messicana”, ma a loro modo lineari. Dal momento in cui si passa, come è avvenuto, al metodo della scelta paritaria, di conclave come si è detto, di un nome super partes, ecco che emerge un potenziale veto all’elezione di Draghi, da nessuno (e non a caso) rivendicato per tale. Qui l’argomento fallace è semmai che Draghi deve continuare a guidare l’esecutivo, è troppo importante per fare il capo dello stato. Bah. Paradosso dei paradossi, appunto, è credere che uno possa subire un veto, essendo il campione della maggioranza di unità che sceglie il successore di Mattarella, e poi restarsene lì, a Palazzo Chigi, impallinato senza alcuna plausibile ragione politica.
Casini è un bravo tipo ma trasversalismo e quarant’anni di mestiere non bastano: bisogna aver dato qualcosa di molto serio alla politica e mostrare al di là del trasversalismo parlamentare una visione. Due cose che Draghi ha acquisito, Casini no. Cassese, Amato e Belloni hanno dato qualcosa di serio alla cultura e alle istituzioni, nel terzo caso anche all’alta amministrazione pubblica, ma come candidati oggi sono espressione di un veto felpato, draghi-compatibile entro limiti molto stretti, ma pur sempre di un veto. Come si vede chiaramente, siamo ancora a giochi e giochini, legittimi, prodotto di insofferenze del non detto, perfino comprensibili, rispettabili opzioni alternative, come sempre quando si tratti di scelte difficili, ma pur sempre a sfondo ludico-politico, e più ludico che politico. Rientrano dunque, i nomi circolanti, nel “gioco della surroga”: chiunque, anche un tipo ideale che si avvicina al modello Draghi, epperò non Draghi. Un veto dissimulato, non benissimo.
L’elezione di Draghi coincide dunque con la rimozione di un veto complicato da giustificare, in particolare se motivato con la stringente necessità di avere comunque Draghi al vertice del potere, “per divorarti meglio figlio mio” come reca la favola di Cappuccetto Rosso. Non sembra che l’attuale capo del governo, che non è affatto una scelta di sistema, piuttosto una scelta di visione e di garanzia, sia un tipo alla Cappuccetto Rosso, voglioso di andare in bocca al lupo travestito da nonna. Dallo stallo alla messicana non si esce decentemente con la logica del “troviamone un’altra”. Se ne esce prendendo atto, senza vincitori né vinti, e con vantaggio comune e del paese, che il ciclo inaugurato con il governo Draghi, preparato nei fatti dalla formula imperfetta e azzardata ma produttiva del Bisconte, può ragionevolmente continuare, con una graduale e significativa ripresa in mano della politica da parte dei partiti senza maggioranza spendibile in queste Camere, verso le prossime politiche, con una formula di garanzia che non è una “trovata” e non prevede veti. Il resto è goliardia sfascista.
Per seguire la diretta dell' elezioni del presidente della Repubblica