Chi vince con Mattarella. Un girotondo di opinioni
I partiti che collassano, la politica che vince, i leader che si affumano e le opportunità per il futuro. Come esce l’antipolitica dal romanzo Quirinale e chi è che dovrà leccarsi le ferite
Una gragnuola di colpi di scena che si conclude con la resa della Repubblica dei partiti. Una débâcle: com’altro chiamarla? I partiti che invocano il bis di Sergio Mattarella, il presidente che, a più riprese, a suon di argomenti, ha negato la propria disponibilità. Non è la notte dei lunghi coltelli ma la guerra delle rose senza petali, delle candidature proposte e rigettate, delle bocciature sonanti, un mosaico di fallimenti da cui si evince, a nove anni dalla seconda volta di Giorgio Napolitano, l’insuperabile incapacità di disegnare, per il paese, la traiettoria verso un successore possibile.
“Il risultato delle elezioni presidenziali è l’unico punto di equilibrio possibile nell’Italia uscita dal voto del 2018”, parla così al Foglio il direttore di La Repubblica Maurizio Molinari secondo il quale siamo ancora nella “stagione dello scontro tra populisti e antipopulisti. Anche in questa occasione abbiamo assistito allo scontro tra il fronte della protesta e quello della stabilità, alla fine si è giunti alla medesima soluzione di un anno or sono, quando Mattarella conferì l’incarico a Mario Draghi. È l’unica combinazione in grado di garantire la stabilità, è la soluzione italiana che secondo me sarà studiata nei libri di storia. Questa fase si concluderà con le elezioni del 2023”. Prevede un cambio di legge elettorale? “Credo che si potrà fare molto poco. Vedremo probabilmente un Draghi più assertivo, il premier ha avuto una investitura chiara e sarà ancora più determinato a realizzare l’azione di governo per fronteggiare le due principali emergenze: le riforme economiche, necessarie per l’esecuzione del Pnrr, e il contrasto della pandemia. Uscendo da questo seminato, il margine d’azione sarà assai ridotto”. Il centrodestra esiste ancora? “Non per come lo abbiamo conosciuto. Esiste un’ala sovranista, guidata da Matteo Salvini e alla quale Giorgia Meloni ha aderito, e poi c’è un fronte moderato, presidiato da Forza Italia e dai centristi. L’espressione ‘centrodestra’ non aiuta più a descrivere la realtà dell’aula parlamentare”. Salvini esce sconfitto? “Il leader della Lega ha tentato di vincere la partita, ha creato la candidatura di Silvio Berlusconi nella quale in fondo non credeva neanche lui, ha proposto delle altre candidature, ma quando si è trattato di fare goal non c’è riuscito. La battaglia si è svolta secondo le sue modalità”. Mancato goal, perché? “Salvini è caduto sui nomi, esattamente come gli era già capitato nella tornata di amministrative a Roma e Milano”. Le candidature femminili, da Elisabetta Alberti Casellati a Elisabetta Belloni, da Paola Severino a Marta Cartabia, sono state puramente strumentali o invece ci siamo andati vicino? “Non è stato un uso strumentale, le candidature sono state reali, è un segno di maturità e specchio dei tempi”.
Secondo Gennaro Sangiuliano, direttore del Tg2, “dobbiamo tornare a riflettere sull’elitarismo politico che agli inizi del Novecento trovò notevoli interpretazioni in Robert Michels, autore della ‘Sociologia del partito politico’, in Gaetano Mosca, esimio costituzionalista, e in Vilfredo Pareto. Oggi i partiti hanno gli elettori ma non hanno il sentire della società, e soprattutto non hanno ancoraggi culturali che li aiutino a scegliere nei momenti importanti. Essere élite deve essere una condizione prima morale e poi gerarchica, non tutti quelli che stanno al vertice sono élite”. Mattarella si conferma una riserva della Repubblica? “Il presidente dimostra di essere una personalità di altissimo prestigio, morale e culturale, e mi sembra che dietro persone come lui e Draghi ci sia uno iato: già il passaggio dalla Prima alla Seconda repubblica è stato foriero di criticità, quello verso la terza si preannuncia foriero di ulteriori traumi. Nei giorni delle votazioni andate a vuoto, ha vinto la ribellione parlamentare e si è evidenziata, plasticamente, la crisi dei partiti”. Eppure in molti pensavano che il candidato naturale sarebbe stato Mario Draghi, il premier di quasi unità nazionale. “Sarebbe stato un’ottima scelta, avrebbe dato al paese, per i prossimi sette anni, la copertura che ha dato quest’anno in termini di credibilità e reputazione al cospetto dei mercati e delle grandi istituzioni internazionali. Il combinato disposto Mattarella-Draghi può dare stabilità al paese nell’attesa che maturino soluzioni”. Il mandato di Mattarella durerà sette anni? “Penso di sì”.
Fubini: “Le soluzioni razionali per salvarsi erano tre, e Mattarella era la più razionale”
Per il vicedirettore del Corriere della sera Federico Fubini, “più questo processo sprofondava nel caos più era chiaro che i partiti avrebbero dovuto trovare una soluzione razionale per salvarsi. Le soluzioni razionali per salvarsi erano tre, e Mattarella era la più razionale e implicava meno costi politici per gli uni e per gli altri. Al netto di questo, evidenzio due elementi: Renzi è protagonista della politica italiana da due legislature, la scorsa è stata quella del suo massimo trionfo ma anche quella in cui è stato il grande sconfitto. Non ha lasciato l’impronta che avrebbe voluto. Questa seconda legislatura è quella della sua massima debolezza – il due percento, il politico più odiato etc. – ma, paradossalmente, in questa legislatura il leader di Italia ha lasciato il segno determinando le principali svolte. È stato lui a sventare, nel 2019, il tentativo di Salvini di prendersi i pieni poteri, è stato lui il regista dell’operazione Draghi facendo cadere il governo Conte ed è stato lui a smontare il tentativo di un accordo tra Conte, Salvini e Meloni per l’elezione di Elisabetta Belloni. Insomma, Renzi nella legislatura trionfante ha perso, nella legislatura soccombente è stato il più incisivo. Terzo elemento: tutti dicono che bisogna cambiare le regole per l’elezione del capo dello stato, che bisogna andare verso l’elezione diretta, in effetti il sistema sembra entrato in una specie di entropia riconfermando per la seconda volta la persona che c’era già. È un problema dell’assetto istituzionale? No, io credo che sia un problema dei partiti, è andato completamente in crisi il funzionamento dei partiti che sembrano piuttosto cartelli tra notabili o veicoli di ambizioni personali. Non se ne capisce né il funzionamento interno né i processi decisionali. È urgente un cambiamento”.
Senaldi: “Le donne ne escono bene perché per la prima volta si è parlato seriamente di eleggere una presidente”
Per Pietro Senaldi, condirettore di Libero, “questo Parlamento di nominati, dove sette su dieci hanno la data di scadenza impressa sulla fronte, si è ribellato ai leader che si sono ritrovati costretti a compiere l’unica scelta possibile. Il rischio era che Mattarella passasse senza l’accordo dei leader. L’aula si è ripresa il potere a dispetto della litigiosità dei leader sia all’interno degli schieramenti che tra di essi. L’eccesso di politica ha ammazzato la politica. Mi chiedo dunque se non sarebbe meglio lasciare ai cittadini la scelta del capo dello stato attraverso l’elezione diretta”. Il leader della Lega Salvini è il grande sconfitto? “Non si può certo dire che abbia vinto. Si è dato una missione che era oltre le possibilità umane. Il suo errore è stato non scegliere al momento opportuno: poteva, all’inizio, optare per Draghi dando un dispiacere a Berlusconi. Per evitare ciò, ha avuto la possibilità di far convergere i voti su Casini ma ha avuto paura degli attacchi di Meloni. Alla fine, ha pensato di orientarsi su Elisabetta Belloni intestandosi un candidato che in realtà era di tutti. Non vedo però vincente neanche Enrico Letta: che vantaggio ha il segretario del Pd nel vedere eletto il presidente voluto da Franceschini e Orlando? Letta voleva Draghi. Almeno Salvini si è tenuto il partito, non ha piegato il ginocchio davanti a Giorgetti”. Perché non è riuscita l’operazione Draghi? “Il presidente del Consiglio è il terzo sconfitto perché si è mosso come un elefante in una cristalleria. Ho riportato sul giornale i contenuti della telefonata con Silvio Berlusconi che non è stata dolcissima: il Cavaliere gli ha detto di essersi giocato venticinque anni della sua vita, i soldi, la salute, per andare a Palazzo Chigi”. È enorme il sacrificio di Mattarella che, a più riprese, aveva manifestato la propria contrarietà al secondo mandato. “Sul sì di Mattarella io dico un’altra cosa: c’è poco da stupirsi se poi gli italiani perdono fiducia nelle istituzioni. Il ‘non ci sto più’ di Mattarella non era il no di un uomo comune ma della massima istituzione dello stato. Fare l’opposto di quel che si dice mina la credibilità e l’autorevolezza delle istituzioni”. Le candidature femminili sono state strumentali o ci siamo andati vicino? “Casellati è stata candidata, Belloni ci è andata vicino. Io direi che le donne ne escono bene perché per la prima volta si è parlato seriamente di eleggere una presidente. Quanto ai nomi bruciati, anche gli uomini non sono stati risparmiati…chiedere a Casini, Nordio, Pera”.
Ghisleri: “Il bipolarismo ora è messo seriamente in discussione non solo a destra ma anche a sinistra”
Per Alessandra Ghisleri, direttore di Euromedia Research, “il bipolarismo è messo seriamente in discussione non solo a destra ma anche a sinistra. Non si è capito se le forze politiche ragionano e lavorano nell’interesse della coalizione o del singolo partito. Credo che adesso si andrà naturalmente verso una legge proporzionale. Il desiderio di piantare una bandierina politica ha prevalso sul resto, anche le mosse di Forza Italia e di Fdi sembravano essere state orientate a mettere in discussione il ruolo di Salvini come kingmaker. A Salvini non è mancato il coraggio ma probabilmente è mancato il dialogo e una maggiore apertura verso gli altri”. La politica ne esce sconfitta? “I cittadini si sono chiesti se questi siano capi o leader. Nessun capo politico è riuscito a tenere i propri grandi elettori, sono arrivati al voto senza aver ascoltato i dirigenti, i cittadini, i numeri. È mancato il metodo, il conteggio certo dei numeri. È stato spiazzante, anche perché un’elezione come questa è molto mediatica. È come se la voglia di contarsi abbia prevalso sulla voglia di stare insieme. Ognuno dei leader ha cercato di intestarsi la rielezione di Mattarella ma gli italiani non hanno l’anello al naso: si è tornati a Mattarella perché i capigruppo non controllava i gruppi”. Come ne esce il premier? “Mario Draghi ne esce benissimo: era il candidato naturale, il suo nome non è mai stato davvero utilizzato, anzi è stato richiesto di rimanere, con un giudizio unanimemente positivo sul suo operato al governo. È il garante del sistema per il bene dell’Italia”.
Gomez: “L’unico leader che non esce male da questa partita è Giorgia Meloni”. Sangiuliano: “Durerà 7 anni”
Secondo il direttore del Fattoquotidiano.it Peter Gomez, “l’unico leader che non esce male da questa partita è Giorgia Meloni. La leader di Fdi ha proposto per prima il nome di una donna (Belloni, ndr), oggi si distanzia da Salvini e molti elettori di area sovranista guardano con interesse a lei”. Prevedi cambi di leadership nel centrodestra? “Finché non ci terranno nuovew elezioni o non emergerà dentro la Lega un leader alternativo che in questo momento non c’è, Salvini resta saldamente al suo posto. In generale, però, il quadro è in evoluzione, assisteremo a rimescolamenti dentro e tra gli schieramenti”. Cambia la legge elettorale? “Sento aria di proporzionale, anche in virtù di quanto accaduto in Parlamento. FI voterebbe a occhi chiusi il proporzionale, Salvini comincia a convincersi che in futuro l’alleanza con Meloni sarebbe impossibile, i 5Stelle sono da sempre favorevoli, per il Pd fa poca differenza perché loro governano anche quando perdono. Se si arrivasse al proporzionale, Meloni sarebbe destinata a rimanere all’opposizione per sempre”. Dopo questa elezione, dobbiamo aspettarci che Draghi sarà ancora più Draghi? Decisionista, pragmatico. “Probabile. Mi aspetto una sfilza di colpi di fiducia, un atteggiamento ancora più diretto e insofferente verso le lungaggini e le esitazioni dei partiti. Il premier dirà: mi avete voluto qui? Adesso si fa come dico io”. Le candidature femminili sono state puramente strumentali? “Ricordo che quando due settimane fa Giuseppe Conte disse: vogliamo una presidente donna, fu travolto dalle critiche. Quando si è affacciata l’ipotesi di un accordo tra Salvini e Conte per eleggere Belloni, Renzi, con una violenza verbale inusitata, ha travolto la trattativa bocciando l’ipotesi. Salvini, preso dalla voglia di intestarsi la candidata donna, ha avuto un’uscita improvvida, ha sbagliato il timing. Effettivamente, c’era un margine per l’elezione della prima presidente donna, vedremo la prossima volta”.