Nulla cambia, sì, ma per cambiare tutto. W il bis di Mattarella
Populismo azzoppato, Parlamento valorizzato, draghicidio evitato, leadership indebolite e un’agenda per il futuro per affondare gli artigli del presidente koala. Chi vince con
il secondo mandato di Mattarella
Perdono i populisti, vincono i partiti di governo, trionfa il Parlamento, si rafforza l’esecutivo, non si indebolisce Draghi, non si rafforzano i suoi avversari, non si afferma l’antipolitica, non ritorna l’anticasta e alla fine dei giochi il risultato non è quello che qui si sperava, sette anni di Draghi come garante dell’Italia, ma è quello migliore che si poteva sperare una volta messo da parte il sogno numero uno.
Sergio Mattarella, poco dopo le 20 di ieri, è stato rieletto, con numeri da record, presidente della Repubblica per la seconda volta, come già successo nove anni fa con Giorgio Napolitano, ma a differenza del bis del 2013 il secondo mandato di Mattarella potrebbe aiutare a illuminare più le virtù che i vizi del sistema politico italiano. L’Italia che sceglie di rieleggere Sergio Mattarella non arriva a questa scelta al termine di un percorso drammatico fatto di disperazione, disorientamento, collasso del sistema politico (collassa il centrodestra, non l’Italia). Ma arriva a questa scelta al termine di un percorso di autodistruzione del populismo che alla fine ha portato a un risultato opposto rispetto a quello che si erano prefissati i due principali azionisti del partito del draghicidio: Matteo Salvini e Giuseppe Conte. Conte e Salvini hanno fatto di tutto per creare le condizioni perfette non solo per impedire a Draghi di spostarsi da Palazzo Chigi al Quirinale (missione compiuta) ma anche per tentare in tutti i modi di avere un capo dello stato capace di indebolire l’attuale maggioranza di governo, e dunque anche il presidente del Consiglio.
Il primo tentativo è andato a segno, il secondo no. E l’esito finale della partita oggi è questo: i nemici del presidente del Consiglio sono molto più deboli (Conte e Salvini), i partiti delle vecchie glorie gialloverdi (il M5s e la Lega) sono attraversati da tensioni profonde tra chi si riconosce nell’agenda Draghi e chi invece no (Di Maio e Giorgetti) e il partito di chi sogna di preservare il draghismo nei prossimi sette anni (eccoci!) non può contare sulla certezza di avere Mario Draghi al Quirinale (sob!) ma può contare sulla certezza di avere al Quirinale la tessera numero uno del partito che sogna di preservare il draghismo il più a lungo possibile (dettaglio significativo della mattinata di ieri: Sergio Mattarella ha comunicato formalmente a Mario Draghi la sua disponibilità ad accettare un secondo incarico e ha scelto di incontrare al Quirinale i gruppi parlamentari, e non i leader di partito, chiedendo a Mario Draghi di spiegare lui direttamente, ai leader di partito, le sue condizioni per il bis al Quirinale).
Con un Draghi al Quirinale, l’Italia avrebbe fatto probabilmente un veloce salto nel futuro. Con un Mattarella al Quirinale, l’Italia si avvicinerà al futuro con un passo diverso, più delicato, più ovattato, ma comunque deciso, nella consapevolezza che i nemici affrontati di petto negli ultimi sette anni verranno affrontati nei prossimi anni da Mattarella con una forza non inferiore a quella registrata dal 2015 a oggi. Sette anni di battaglie contro l’estremismo, contro il populismo, contro l’antieuropeismo, contro l’antisemitismo, contro il protezionismo, contro lo sfascismo, contro l’antipolitica, un po’ meno forse contro il giustizialismo, ma con una predisposizione naturale a mettere, con il passo da koala, espressione mansueta ma zanne affilate, l’Italia al riparo dai deliri della democrazia diretta, dalle pazzie degli anticasta, dalle follie dei nemici dell’Europa.
Il presidente della Repubblica scelto ieri dal Parlamento – se resterà per sette anni al Quirinale, nel 2028 Mattarella avrà 87 anni, un anno in meno rispetto agli anni che aveva Giorgio Napolitano nell’anno in cui ha accettato il bis – attraverserà almeno tre legislature (quella attuale, la prossima e la successiva ancora), si candida a governare sull’Italia (abbiamo detto governare?) per un arco temporale simile a quello avuto dalla Germania con Angela Merkel (quindici anni contro quattordici anni) e si presenta ai nastri di partenza del secondo mandato con un mandato che è il contrario del modello Gattopardo: nulla cambia affinché cambi tutto. E quel che cambia è evidente: Draghi può rafforzarsi anche sfruttando le debolezze dei suoi nemici, il governo può concentrarsi a raggiungere i 102 obiettivi previsti dal Pnrr per l’anno in corso senza destabilizzazioni eccessive e la politica può tentare di inaugurare la stagione del nulla cambia per cambiare tutto per provare, magari con un magnifico proporzionale, a tenere lontano il centrodestra draghiano da quello antidraghiano. Sette anni di Draghi sarebbero stati un sogno. Sette anni di draghismo con Mattarella possono essere una buona consolazione.