Reloaded
Salvini riesce nel miracolo di far rimpiangere Sebastian Rambert. Ripasso
Il leader della Lega ha definitivamente dimostrato che le uniche categorie per provare a comprendere qualcosa di quello che accade in questo maltratto Paese non sono quelle della politologia o della sociologia, ma quelle della deriva situazionista
Dovremmo tutti ringraziare Matteo Salvini. Per una settimana ha incarnato il ruolo in maniera perfetta. Ha avuto sortite puntuali, ritirate strategiche e movimenti che hanno mandato in confusione gli avversari. A tutti ha ricordato il miglior Garrincha sulla fascia con le capacità di realizzazione di Sebastian Rambert. Con le sue finte, a dire il vero, non ha mandato in confusione solo gli avversari. Ha tenuto i virologi lontani dalle tv. Anche se abbiamo avuto anche i virologi in versione transquirinalista, miracoli delle transizioni televisive. Gli autori tv hanno dedicato poche sedie dei talk show a no-vax sciroccati con pretese di intenzioni scientifico-pedagogiche. Grazie Salvini per aver agito per il Supremo Bene della Repubblica. Matteo Salvini è ormai una vera icona pop. Ci ha regalato un viaggio allucinante, per dirla con Labranca tra "hipster situazionisti e mistificatori deleuziani".
Ha esaltato la καλοκαγαθία di Luigino di Maio trasformandolo in Padre della Patria. Ha mandato in tilt l’intenet che lo ha raffigurato appeso al citofono del Prof. Cassese: “Scusi Cassese, lei si candida?”. Si è infine intestato la rielezione di Sergio Mattarella. “Il catto-comunista MATTARELLA presidente? Fondatore dell'Ulivo, vice di D'Alema, ministro con De Mita. E giudice di quella Corte Costituzionale che ha fregato agli italiani il Referendum per cancellare la Legge Fornero. Alla faccia del "nuovo"..... Se Berlusconi e i suoi lo votano, cosa diranno ai loro elettori? MATTARELLA non è il mio presidente”. Ci si poteva attendere una reazione emotiva di Giorgia Meloni, e invece queste sono le parole vergate da Salvini nel 2015, che oggi prova ad intestarsi anche la scelta di Mattarella. Nell’ottobre 2019 scrivevamo su questo fogliuzzo: “Non sappiamo se Matteo Salvini avrà questo coraggio, o se continuerà a giocare a nascondino sotto la nube nera. Magari riuscirà davvero a indossare i panni di Don Rodrigo o quelli di un novello Don Abbondio che, senza coraggio, riesce tutto sommato a trovarlo. Per quel che conta, a noi Don Rodrigo è stato sempre più simpatico di Don Abbondio. Da Salvini non ci aspettiamo simpatia, ma almeno esplicita difesa delle sue idee”.
Siamo forse stati facili profeti di avventure, ma non ci saremmo mai potuti spingere fino ad immaginare Matteo Salvini idolo delle sinistre. E dunque quella di Salvini è davvero una svolta. Ha ucciso il centrodestra, ha esaltato le sinistre. Ha definitivamente dimostrato che le uniche categorie per provare a comprendere qualcosa di quello che accade in questo maltratto Paese non sono quelle della politologia o della sociologia, ma quelle della deriva situazionista e che l’unico libro da riprendere in mano per provare ad avere gli arnesi giusti è “La Società dello Spettacolo” di Guy Debord.
In quella sede, partendo dall’incipit de Il Capitale di Marx, il francese dichiara: “Tutta la vita delle società nelle quali predominano le condizioni moderne di produzione si presenta come un’immensa accumulazione di spettacoli”. Lo spettacolo, come Salvini ci ha fatto vedere ormai da tempo (dirette, comizi, post, tweet) non è più un insieme di sole immagini, ma un vero e proprio rapporto sociale (e politico) fra le persone che le immagini mediano. Lo spettacolo diviene il mezzo, ma anche il fine, per una peculiare inversione della realtà che porta dal citofono di un presunto spacciatore a quello di un possibile candidato alla Presidenza della Repubblica. Lo spettacolo non riproduce la realtà, ma garantisce l’evasione dei protagonisti dal campo da gioco. Non resta allora che da chiedersi se la svolta di Salvini non sia più adatta a Sanremo che al palco della politica e dell’interesse nazionale. Per il resto, si Salvini chi può!