lo strano caso
Veneto, la Kolyma della Lega. Dove Salvini torna alle “purghe”
Dopo il flop Quirinale il vicesegretario Fontana ha fatto partire le epurazioni tra i leghisti veneti. "Non mi hanno neppure avvisato. Sono pronto a combattere", ci dice uno di loro
Essendo l’ultimo vero partito leninista d’Italia, di sicuro si saranno detti: perché non onorarne la tradizione? Così nella Lega alle prese con il confusionario post elezione del presidente della Repubblica, si è ritornati a parlare di epurazioni. C’è stato un tempo in cui a essere messi alla porta erano i vari Gianfranco Miglio, Giancarlo Pagliarini, il sindaco sceriffo Giancarlo Gentilini. In epoca più recente è toccato in sorte a Gianni Fava, Flavio Tosi. Sapete dove si sono rivolte adesso le attenzioni di Salvini e compagni? Al grande Veneto, la Kolyma della Lega, l’arcipelago di un dissenso che appare sempre più materiale e per questo da reprimere con metodi novecenteschi.
Il segretario della Lega dice sempre di non essere interessato alla lettura dei giornali. Lo ripete con fare distratto in ogni occasione utile. Ciononostante almeno una scorsa deve averla buttata alle interviste rilasciate dall’europarlamentare Gianantonio Da Re e dal sindaco di Noventa Padovana Marcello Bano (quest’ultima qui sul Foglio). Che in pratica, con sfumature diverse, sostengono: bisogna avere il coraggio di andare oltre Salvini e la sua ambiguità sfaccettata. Dall’Europa ai vaccini al governo Draghi. Argomentazioni che non sono passate inosservate. Anche per questo il vicesegretario Lorenzo Fontana martedì, nel Consiglio federale convocato per fornire all’esterno l’immagine di un partito compatto, ha detto che bisognerà essere molto rigidi nei confronti di coloro che “non rispettano la linea del partito”. Oltre a Da Re e Bano, aspettano una raccomandata (non così veloce) che comunichi la loro sospensione o espulsione due volti storici della Liga veneta: l’ex presidente del Consiglio provinciale di Treviso Fulvio Pettenà e l’ex presidente del Consiglio comunale di Conegliano Giovanni Bernardelli. “Sono iscritto alla Lega da 31 anni e non mi è stato comunicato alcunché. La notizia l’ho dovuta leggere dai giornali”, racconta quest’ultimo al Foglio. La sua colpa? “Aver bevuto un caffè con il sindaco Fabio Chies”. Storia breve: la Lega a Conegliano nel primo mandato lo appoggiava. Poi lo ha sfiduciato, convergendo su un altro candidato. Bernardelli pubblicamente ha sostenuto la ricandidatura di Chies e per questo è stato accusato di fare campagna elettorale contro il partito. “Ma io lo statuto lo conosco. Ho già pronto un ricorso dettagliatissimo, che farà scuola e da precedente per gli altri. Non ho alcuna intenzione di arrendermi. Può essere forse una colpa rimanere coerenti con se stessi?”.
Le storie provenienti da questa landa sempre più insofferente sono emblematiche, perché segnano uno scollamento rispetto alla cultura della Lega dei territori. “In sei mesi ho cercato in tutti i modi di dimostrare che mi si accusava di cose false. Non mi ha mai risposto nessuno. E’ come se mi avessero inferto delle coltellate”, racconta ancora l’ex consigliere veneto. Per dire dell’aleatorietà delle accuse, a Pettenà starebbero imputando il fatto di essersi schierato contro fedelissimi di Salvini come Luca Morisi. A cui, quando emerse l’indagine per detenzione di sostanze stupefacenti (poi archiviata), aveva chiesto di pagare i danni d’immagine causati al partito. Anche lui, come ha confessato ieri al Gazzettino, non ne sa niente. “Non hanno avuto nemmeno il coraggio di chiamarmi”. Un altro che non le aveva mandate a dire a Salvini è il consigliere regionale Marzio Favero. Tra i più strenui oppositori delle timidezze leghiste sul green pass (disse che mostrandosi ambigua sui vaccini una certa fetta di partito stava veicolando un’immagine “medievale”). Lo chiamiamo per sapere se si sente preoccupato, visto l’andazzo. “In realtà spero che si riesca a fare marcia indietro rispetto agli annunci di questi giorni”, dice al Foglio. “Nei momenti difficili bisogna sempre avere chiara la proporzione delle parole. Parliamo di militanti con trent’anni esperienza. A un certo punto ci si deve domandare: vale più l’intervista a un giornale o un’esperienza trentennale sul campo?”. Salvini però avrebbe chiesto sovieticamente (non proviene forse dai “comunisti leghisti”?) di restringere le maglie attorno a chi lo critica per prevenire eventuali sedizioni. “Siamo il partito più antico d’Italia. Durante la pandemia c’è mancata la possibilità di discutere. Quello che serve non è meno, ma ancora più confronto. Per arrivare tra di noi a una sintesi hegeliana”, dice ancora Favero. Altro che scenari alla Solženicyn.