Il caos di fronte a Draghi
Un Parlamento diffidente. Due leader in cerca di visibilità. Tre ministri sotto osservazione. Un Mef diviso a metà. Le fragilità da monitorare nel Draghi bis non sono quelle interne a partiti ma quelle interne al governo. Indagine
I postumi della sbronza quirinalizia hanno avuto come effetto prioritario quello di illuminare le fibrillazioni dei partiti e non c’è dubbio che l’elezione di Sergio Mattarella abbia contribuito a mettere in risalto le fragilità di alcune leadership, che incidentalmente sono poi le stesse, quelle del M5s e quelle della Lega, che hanno tentato di dar vita al draghicidio. Studiare quello che succederà nei partiti è ovviamente importante per individuare in anticipo quelle che saranno le debolezze da governare nella maggioranza ed è comprensibile che dal punto di vista politico le preoccupazioni maggiori per il presidente del Consiglio siano principalmente due: fino a quando coloro che hanno tentato di sabotare l’attuale maggioranza (Conte e Salvini) resisteranno alla tentazione di mettere i bastoni in mezzo alle ruote dell’esecutivo. I punti di friabilità del governo Draghi, però, riguardano anche altre dinamiche interessanti che la partita quirinalizia ha contribuito a mettere in rilievo. Il primo passaggio da considerare riguarda un punto di forza del governo che nei giorni del Quirinale si è trasformato in un fattore di debolezza.
Draghi, nei suoi primi dodici mesi al governo, ha fatto tesoro di un equilibrio artificiosamente creato un anno fa, ovverosia tenere fuori dall’esecutivo i leader dei partiti senza concordare con le segreterie dei partiti i nomi dei ministri. Ma nei giorni del voto sul Quirinale la prova di forza è diventata una testimonianza di debolezza. E se si aggiunge a questa prova di debolezza l’ovazione che giovedì il Parlamento ha rivolto a Sergio Mattarella quando il capo dello stato ha criticato indirettamente Draghi dicendo che “appare comunque necessario che il Parlamento sia sempre posto in condizione di potere esaminare e valutare con tempi adeguati” si comprenderà bene quali sono i fronti sui quali il governo dovrà lavorare per evitare di entrare con entrambi i piedi nella tradizionale stagione del pantano. Il buon funzionamento dell’attività di governo passerà dunque da questi tre elementi, rapporto con i leader da ricucire, rapporto con il Parlamento da ricostruire, rapporto con i partiti ribelli da ricomporre. Ma passerà anche da altro.
La conflittualità esplicita ma costruttiva che esiste da mesi tra il capo del governo e il ministro della Cultura Dario Franceschini è certamente un tema importante da affrontare. Ma le dinamiche vere da tenere sotto osservazione sono altre e riguardano una serie di dossier presenti in alcuni ministeri tenuti sotto stretta osservazione da Palazzo Chigi. Ministeri come quello guidato da Enrico Giovannini, le Infrastrutture, che nella messa a terra del Recovery ha un ruolo cruciale. Ministeri come quello di Patrizio Bianchi, l’Istruzione, che da mesi Draghi tenta di spingere lontano dai sindacati che tradizionalmente assediano politicamente il ministero di Viale Trastevere. Ministeri come quello guidato da Luciana Lamorgese, l’Interno, che nella stagione del ritorno alla normalità, post emergenza Covid, finirà nuovamente nel mirino dei professionisti della zizzania. Ministeri come quello guidato da Daniele Franco, il Mef, i cui rapporti con Palazzo Chigi sono segnati ormai da mesi da una dinamica utile da decrittare. Esiste un Mef 1 (quello più vicino a Daniele Franco) con cui la struttura di Palazzo Chigi dialoga come se dialogasse con la Ragioneria dello stato (molti numeri, poca visione). Esiste poi un Mef 2 (quello più vicino al direttore generale Alessandro Rivera) con cui la struttura di Chigi dialoga come se dialogasse con il vero ministero e sulla cui direttrice passerà buona parte delle nomine future che verranno decise da qui a fine marzo (il nuovo ad di Mps, il successore di Domenico Arcuri a Invitalia, il successore di Giuseppe Bono alla guida di Fincantieri, oltre che il futuro di Snam, di Sace e di Sport e Salute). La stagione della normalità (il 31 marzo finirà lo stato d’emergenza) riporterà con estrema velocità la politica al centro della vita del governo. E compito di Draghi sarà quello di riuscire a dimostrare di essere un timoniere efficace e un politico accorto in una stagione politica molto diversa: quella della sindacabilità delle sue scelte favorita dal graduale ritorno alla normalità dell’Italia.