Il profilo
Il "ministro" del real Quirinale. Chi è Ugo Zampetti, ritenuto (forse) il facilitatore del bis
Ombra di Mattarella, figura eterna dell'amministrazione pubblica. Al centro di tutto (c'è chi dice di nulla). Il ruolo che ha svolto il segretario generale al Colle nella difficile settimana del bis
Roma. Esiste il reato di vilipendio al capo dello stato e poi ne esiste un altro che non è codificato: “Del segretario generale di Sergio Mattarella non si deve mai parlare”. Non si può neppure chiedere la grazia al presidente. Tutte le richieste inoltrate al Quirinale vengono prima lette da Ugo Zampetti. Gli aggettivi su di lui: “Eterno”, “encomiabile”. Quello che raccontano su di lui: “Tre erano i veri candidati alla presidenza della Repubblica: Mattarella, Draghi, Casini. Uno non era il suo”. Lo chiamano “eminenza grigia” ma ha i capelli bianchi. E’ cattolico, ma ha lavorato con i “comunisti”. Garantiscono che sarebbe rimasto segretario anche se fosse stato eletto presidente Pier Ferdinando Casini. In Parlamento: “Sono amici. Lo sanno tutti”. E’ stato segretario generale della Camera dal 1999 al 2014. Un funzionario: “E’ il più bravo. E’ capace di restare vent’anni nello stesso posto dove di norma se ne rimane quattro”. Fausto Bertinotti, un altro ex presidente: “Quello che di Zampetti si può dire è che il suo valore sta nel non dire”.
Come Carlo Emilio Gadda la richiesta di Zampetti è “per favore, mi lasci nell’ombra”. I leader di partito ripetono di non averlo mai contattato. Antonio Tajani: “Io non ho chiamato Zampetti”. I partiti negano telefonate durante i giorni dell’elezione. Il Pd: “Non abbiamo avuto ponti telefonici con Zampetti”. L’indiscrezione raccolta alla Camera, venerdì 28 gennaio, ventiquattro ore prima del voto decisivo: “Zampetti è stato informato che i voti su Mattarella continueranno a crescere”.
E però, Luigi Zanda, il lume del Senato, che conosce sia il presidente che il suo segretario, lo smentisce categoricamente: “Mattarella era sincero e Zampetti non è un uomo che va contro la volontà di Mattarella”. Chi scrive che dietro l’elezione di Mattarella ci sia la mano di Zampetti manca di rispetto al presidente che non ha mai cercato la rielezione. Chi scrive tuttavia che la soluzione finale sia stata apprezzata da Zampetti, scrive qualcosa che difficilmente può essere confutata da Zampetti.
Alla Sapienza, in una delle ultime uscite del primo Mattarella, un deputato del Pd, che aveva intenzione di ri-votarlo, scherzando con Zampetti avrebbe detto: “Se continuo a dire che lo voto, mi denunci?”. E Zampetti: “Me ne guarderei bene dal farlo”. E per alcuni, quella frase, è stata come un via libera. La sua scalata si deve a Luciano Violante. Da presidente della Camera lo ha nominato segretario generale. Per fare posto a lui lo ha tolto a Mauro Zampini. Scelto e riconfermato da Mattarella, lettore dei romanzi di Federico De Roberto, riposo in Sardegna, Zampetti equivale a quello che nel regno d’Italia era il ministro della Real Casa. Guido Melis, che è il Borges della storia dell’amministrazione, sul Mulino, ha raccontato l’origine e il ruolo di questa carica. E’ una figura che si è plasmata con Antonio Maccanico, il più politico dei segretari generali con il più esuberante dei presidenti: Sandro Pertini. Spiegano che rispetto a Maccanico, Zampetti si avvicini nello stile a Gaetano Gifuni che è stato il segretario generale di Scalfaro, Ciampi, ed emerito con Napolitano.
Li dividono in segretari “manovrieri” e “salottieri”. Zampetti sarebbe dunque più “manovriero” rispetto a Gifuni che era invece “salottiero”. Hanno accesso alle lettere del presidente, anzi, si uniformano al presidente e per il presidente “filtrano”. E sono sempre “mandarini”, “monaci”. Devono “sapere tutto”, ma non essere chiacchieroni. E infatti Zampetti non chiacchiera, dicono tossisca. La chiacchiera è che con Roberto Garofoli, il “soprasegretario” di Mario Draghi, i rapporti siano “cordiali”. La maldicenza è che siano quindi “strettamente necessari”. E non si offenderà nessuno dei due perché tra giuristi, come loro sono, “necessario” significa “ben fatto”.
Presente a ogni incontro a cui partecipa Mattarella, Zampetti non sussurra a Mattarella. Zampetti “conforta” la decisione che rimane sempre di Mattarella. In questi casi si usa la parola “ombra” e si usa male. Non basta avere un’ombra se quell’ombra non aderisce. E Zampetti aderisce. Il Peter Schlemihl di Chamisso non l’aveva persa perché l’aveva venduta al diavolo ma perché gli “aderiva tanto poco”. Anche l’ombra è una sorta di bis-corpo. Zampetti è la materia immateriale di Mattarella, inseparabile, perché “chi non ha ombra non può andare al sole”. E neppure al Quirinale.