tensioni lucane
"Le zuffe tra Meloni e Salvini non blocchino la Basilicata". Parla Vito Bardi
"La crisi aperta dalla Lega? Incomprensibile, governiamo insieme. Un Papeete lucano? Spero proprio di no, c'è da attuare il Pnrr. Modello Draghi? Per ora la coalizione resta questa, ma se nel centrodestra prevalgono i veti, valuterò". Intervista al governatore di FI
Nel trambusto che lo ha investito, il conforto lo trova nei fatti. “E se stiamo a quelli, ai fatti, mi pare che non ci sia ancora alcuna crisi”. Al che Vito Bardi trattiene il respiro, come a compiacersi per la trovata andata a segno, lo stupore che suscita la sua apparente calma serafica in chi lo interroga. Perché in effetti la crisi c’è, eccome. La Lega ha comunicato per via ufficiali l’apertura di una “verifica nella giunta”; ritirando i suoi due assessori. “Ecco, appunto, io le loro dimissioni non le ho mica ricevute”, sospira il presidente della Basilicata, generale potentino della Finanza benedetto dal Cav., uomo d’ordine e disciplina. “Mi dicono che si sono ritirati, ma io l’istituto del ritiro lo trovo un fatto curioso, non ancora contemplato nel diritto”. Fu così anche ai tempi del Papeete: ministri del Carroccio lasciati in sospensione sopra i capricci del capo. “Già. E mi auguro che non ci si trovi di fronte a un fatto analogo, questa regione non se lo meriterebbe”.
Le dinamiche nazionali, in effetti, Bardi si sforza di tenerle sullo sfondo. “Non che non contino per nulla, ci mancherebbe. Le fibrillazioni quirinalizie, lo stato di tensione che s’è prodotto a Roma nella coalizione, avrà avuto forse il suo peso. Ma qui parliamo di cose diverse”. Parliamo, nella fattispecie, di una sorta di rappresaglia leghista per il mancato ottenimento di un incarico da direttore generale in uno dei piccoli centri di potere, l’Acquedotto lucano. Il senatore del Carroccio Pasquale Pepe aveva avuto, pare, rassicurazioni in tal senso. E invece al suo Antonio Altomonte, è stato preferito Andrea Volpe. “E fanno una crisi per una poltrona? Salvini non credo sarebbe d’accordo. Tanto più che quella scelta, come le altre nomine deliberate negli ultimi due anni e mezzo, è stata presa su basi meritocratiche, rifiutando il principio della spartizione partitica”.
Eppure nel Carroccio non ci stanno. E Roberto Marti, senatore leccese mandato a commissariare i leghisti lucani, con le reazioni che si immaginano dei ras locali come Carmine Cicala e Massimo Zullino, le imputa lentezze e tentennamenti. “Chiedono un rinnovamento”, se la ride Bardi. “Lo chiedono loro che hanno un vice presidente di regione, due assessori, un presidente del Consiglio regionale e vari presidenti di commissione. I ritardi che lamentano, li rimproverano dunque a se stessi? Avevamo già fatto una riunione di maggioranza, un vertice riservato. Ci eravamo lasciati con la promessa di rivederci per fare chiarezza: e la riunione era fissata per domani. E invece, di lunedì mattina, mi ritrovo con questo annuncio inatteso: ritirano due assessori. Ohibò”. E anche in questo, il ricordo del Papeete non è poi così lontano. “Ma qui c’è poco da scherzare, perché anche la Basilicata è chiamata ad affrontare sfide decisive per contribuire all’attuazione del Pnrr: è un’opportunità che non possiamo sciupare per via di capricci e tatticismi politici”.
E qui insomma Bardi sembra quasi evocare quel “modello Draghi” che forse è alla base di molti dei sospetti leghisti: che intravedono certi ammiccamenti del presidente, espressione di Forza Italia, ai renziani guidati da Mario Polese. Lavora davvero al ribaltone, alla maggioranza di solidarietà regionale? “Dei sospetti degli altri, non posso rispondere io. Nel 2019 abbiamo vinto con questa coalizione, e credo che sia con questa che si debba andare avanti, se c’è la volontà di tutti. Se invece prevalgono i veti e i dispetti, valuteremo il da farsi. E per questo ho convocato un vertice coi coordinatori dei tre partiti del centrodestra: per chiedere a ciascuno di mettere le sue carte in tavole, per assumerci tutte le nostre responsabilità fino in fondo. Dopodiché, trarrò le mia conclusioni. Sapendo che le strategie nazionali, dentro e fuori il centrodestra, non devono compromettere il lavoro della giunta”. Allude quindi alla guerra di logoramento tra Salvini e Gioriga Meloni, a questi cambi di casacca di un manipolo di consiglieri in odore di aderire alla Lega e che invece all’ultimo minuto, fiutando l’aria che tirava, si sono accasati in FdI? “Si tratta di consiglieri eletti con la mia lista, che hanno fatto le loro valutazioni. Rispetto la loro scelta, che del resto risale a prima dell’inizio della zuffa sul Quirinale tra Salvini e Meloni. Mi auguro però, anche qui, che non sia per queste piccole manovre che si rallenti l’azione della giunta. Non possiamo permettercelo”.