E' tornato lo schiacciasassi?
Draghi prova a ritrovare lo slancio decisionista. Su Csm e balneari vuole chiudere venerdì
"Stiamo in piedi se facciamo le riforme", dice Letta. E il premier prova a evitare che Conte e Salvini scarichino sull'agenda di governo le loro tensioni interne. Sulle concessioni balneari si gira intorno alla soluzione obbligata, con la mannaia di Bruxelles in arrivo. Palazzo Chigi prova a blindare gli emendamenti della Cartabia, ma destra e M5s mugugnano
Forse ha un senso che si provi a ripartire da qui: dalla giustizia e dai balneari. Perché in fondo era stato a questo incrocio che tutto aveva iniziato a impantanarsi. Era la fine di luglio, il M5s vide spazzata via la “Spazzacorrotti” e andò in subbuglio, e Mario Draghi decise di soprassedere sul ddl Concorrenza. Fu il primo cedimento agli umori dei partiti, il primo rinvio. E la messa a gara delle concessioni balneari resta ancora lì, sospesa; e intanto, archiviata la riforma del penale, arriva quella del Csm. Se il premier ha fretta, ora, è perché venerdì vuole ripartire da qui: dalla giustizia e dai balneari.
E’ il ritorno al metodo Draghi, insomma. Almeno a fidarsi dei sospiri di certi suoi collaboratori: funzionari che da settimane si guardavano con un mezzo sorriso di disincanto ogni volta che si accennava a una scadenza che valicasse il voto quirinalizio, e che invece da qualche giorno si vedono di nuovo sollecitati dal “capoufficio”: “E’ tornato lo schiacciasassi”. Se sarà così, se cioè il premier vincerà le resistenze espresse anche da alcuni suoi ministri che gli suggeriscono di temporeggiare ancora, sarà per necessità. Perché, come una bici che trova il suo unico equilibrio nel moto, “anche questa maggioranza eterogenea trova stabilità nel fare le riforme”, dice Enrico Letta. Deve essersene accorto anche Draghi: il quale sa che gli opposti azionisti principali del suo governo, Lega e M5s, sono tentati di scaricare sulla sua agenda le loro tensioni interne.
Sui balneari, ad esempio, si sfiora il paradosso. Si arriva cioè al punto che Conte e Salvini, coloro che insieme nel 2018 vararono la proroga delle licenze al 2033, ora alzino la voce ma per chiedere soluzioni diverse. Il grillino Stefano Patuanelli invoca una liberalizzazione radicale: tutto e subito. E siccome anche nel M5s devono aver avvertito il brivido dell’incoerenza, ecco che lo staff del fu avvocato del popolo ha elaborato un prontuario di “parole chiavi” (sic) e risposte pronte per “le domande più insidiose che possono essere fatte al presidente Conte”. E dunque, domanda: “Perché col Conte I si decise di prorogare le concessioni balneari al 2033?”. Risposta: “Si trattò di una scelta di mediazione con la Lega, che è sempre stata a favore dei concessionari senza se e senza ma per mere questioni elettorali”. Quanto al Carroccio, Giancarlo Giorgetti mostra il ghigno di chi l’aveva detto: “Era chiaro che Draghi avrebbe tirato dritto, se non fosse andato al Colle”. E dunque sa che la soluzione sui balneari è già scritta. Nel senso, cioè, che è contenuta in una bozza, poi accantonata, del ddl Concorrenza: via alle gare ma con delle tutele per i gestori attuali. Il tutto in tempi rapidi, possibilmente: ed è per questo che a Palazzo Chigi, pur preferendo la via del coinvolgimento del Parlamento, non escludono di ricorrere a un decreto ad hoc, si spera già nel Cdm di domani: perché, dopo la sentenza del Consiglio di stato, l’arrivo del parere motivato da parte di Bruxelles sulla procedura d’infrazione, atteso a giorni, potrebbe rendere impraticabile anche la via della liberalizzazione temperata, rendendo obbligate soluzioni ancor più drastiche.
Una rinnovata risolutezza, dunque, per sanare un lungo ritardo. Che poi è la stessa via che si seguirà sulla riforma del Csm. Dove il prolungarsi dell’attesa aumenta le rimostranze. “A noi, sulla questione delle porte girevoli, la ministra Cartabia ha sempre prospettato un ritorno allo schema della Bonafede”, spiega Eugenio Saitta, capogruppo grillino in commissione Giustizia, che si ritrova in sintonia, e ce ne vuole, col calendiano Enrico Costa. “E’ perché ora sembra – prosegue Saitta – che il divieto per il ritorno diretto in magistratura valga solo per chi ha ricoperto incarichi elettivi: dunque i vincoli varrebbero per un consigliere comunale ma non per un ministro scelto fuori dal Parlamento?”. Che sia davvero così, in effetti, ancora non è chiaro. “Perché la Guardasigilli, martedì, si è limitata a illustrarci oralmente il senso delle sue proposte”, spiega il forzista Pierantonio Zanettin. Si attendono insomma le carte, in attesa del Cdm di venerdì e della cabina di regia che dovrebbe anticiparlo. Si tratta, a quanto pare, di otto emendamenti al testo della Bonafede: che affronterebbero, tra gli altri, anche il tema della legge elettorale, e che di fatto assorbirebbero grossa parte dei 400 emendamenti già depositati alla Camera. La commissione Giustizia inizierebbe a votarli dal 16 febbraio, senza ricorso a procedure segrete, con l’obiettivo di portare il testo in Aula a inizio marzo. E con la speranza che poi al Senato non intervengano modifiche, così da rendere il nuovo impianto efficace già in vista del rinnovo del Csm previsto in estate. E del resto, come è stato spiegato anche dai tecnici di Palazzo Chigi, inviati a Via Arenula ad affiancare la Cartabia nei suoi colloqui con le delegazioni dei partiti, il passaggio in Cdm blinderebbe in maniera sostanziale il testo, impegnando tutte le forze di maggioranza a rispettare gli impegni presi dai loro ministri. La stessa strategia, guarda caso, adottata l’estate scorsa – anche se in quell’occasione poi si optò per la fiducia – sulla riforma del processo penale. E dopo tutto è da lì che si deve ripartire. Dal “metodo Draghi”.