Il racconto
Grillo avvisa tutti: "Si fanno le cose per bene". Trattativa con Conte per il voto su Rousseau
Scene da una commedia grillina: avvocati, notai, statuti e l'ombra di Casaleggio
Il mesto ritorno dei vertici del M5s al Grand Hotel che registrò l'impresa del 2018. Il Garante incontra Di Maio: "Con Giuseppe dovete essere uniti". E il ministro: "Ora compatezza"
Facce scurissime. “No comment”. Avvocati che entrano ed escono. Alcuni corrono per non farsi intervistare. Luigi Di Maio saluta e se ne va con fare da diplomatico consumato. Beppe Grillo è chiuso qui dentro, in una sala del Parco dei Principi. L’ultima trattativa passa dal Grand Hotel dei Parioli con vista Villa Borghese. Già teatro quest’estate della sbornia della Nazionale e soprattutto luogo nostalgico del M5s. Proprio al Parco dei Principi quattro anni fa (era il 4 marzo del 2018) i grillini scoprirono di aver fatto il pieno di voti: 32,7 per cento. Di Maio era il capo politico, Conte un docente universitario a cui era stato promesso di diventare ministro della Pa, Davide Casaleggio si fregava le mani, Grillo vagheggiava la rivoluzione. Ora tutti quei protagonisti si detestano cordialmente e dovrebbero trovare un modo per uscire dalla morsa dell’ordinanza del tribunale di Napoli.
Beppe Grillo torna a Roma animato da propositi non belligeranti: “Non voglio rompere, Conte deve rimanere capo politico, ma vanno fatte le cose a modo, io ho un’età, ragazzi”.
Il Garante, già abbastanza acciaccato da vicende giudiziarie politico-personali, si palesa al Parco dei Principi intorno alle 13. Lo aspettano Paola e Andrea Ciannavei, storici legali dell’Elevato. La linea degli avvocati di Grillo è sempre la stessa: per uscire da questo stallo occorre che si torni a votare su Rousseau almeno il Comitato di garanzia e, sarebbe meglio, anche il nuovo statuto contiano, bloccato dal tribunale di Napoli. Altrimenti il solito avvocato Lorenzo Borrè è pronto ad alzare di nuovo il dito: e sono ricorsi ed eccezioni, carte bollate e storie senza fine.
Grillo è di buon umore, raccontano. Fa battute. Delizia gli ospiti con storielle personali, tipo quando da giovane faceva il rappresentante di abiti. E’ di nuovo fondamentale. E’ al centro del palcoscenico, l’animale che si porta dentro si sta nutrendo. Intorno si muove una sceneggiatura abbastanza divertente: Enrica Sabatini, lady Rousseau nonché compagna di Casaleggio (“I nostri gemelli sono passati da sei a cinque poppate: una svolta incredibile!”) si trova nella capitale. Dove ha in programma, dicono, giri editoriali per presentare il suo primo libro su “Cosa resta dell’utopia di Gianroberto Casaleggio?”. Sabatini posta una foto di Roma su Instagram. Panorama mozzafiato. E tutti, dalle parti di Conte, vanno in fibrillazione: “Eccola qua, ci risiamo, si torna dal figlio di Gianroberto, il nostro esattore”.
Conte passa la giornata con avvocati e notai assortiti. Manda a dire a Grillo che se si ritorna a usare la vecchia piattaforma digitale, e non l’attuale (SkyVote), lui non ci sta. “Non lo accetto: è un modo per depotenziarmi”. E così fa girare con sapienza le voci che lo vedrebbero in quel caso pronto ad andarsene e a fondare quel partito che non lanciò quando era premier e molto più in auge di adesso. “Ho strani sospetti su questa trattativa”, dice l’Avvocato del popolo ai suoi ex vicepresidenti, a loro volta tutti decaduti dopo l’ordinanza di Napoli. Alessandra Todde e Mario Turco continuano a dirgli: “Vai Giuseppe, usciamo. Non possiamo rimanere in queste sabbie mobili”. Chi conosce Conte sa quanto sia meticoloso nel prendere le decisioni. Lento, macchinoso, scrupolosissimo. “Voglio guardare negli occhi Beppe”. E lo farà in serata dopo una giornata passata fra i tomi del diritto civile e amministrativo.
Ma bisogna ritornare al Parco dei Principi dove alle 15.20 spunta Luigi Di Maio. “Un incontro durato fino alle 17”, viene fatto filtrare con una certa enfasi. Il ministro degli Esteri è il nemico di Conte, e questo lo sanno tutti. Nella trattativa tiene a far inserire un passaggio che dovrà essere inserito nel nuovo statuto contiano una volta che sarà rimesso ai voti. “Vanno riconosciute le minoranze interne al partito: è il motivo per il quale non abbiamo avuto il via libera a ricevere il 2xmille”. Per Di Maio potrebbe essere il modo per vedere legittimata la sua area politica. Quella che, appena rieletto il presidente della Repubblica, ha alzato la voce e puntato l’indice contro il leader. "Tu e Giuseppe dovete essere uniti", esorta il vecchio Capo. La risposta: "Certo, Beppe, dobbiamo essere compatti".
Grillo ascolta e asseconda. Dice di non aver preso una decisione e che vuole parlare con Conte. In attesa di incontrarlo spunta fra le porte girevoli del Grand Hotel anche Virginia Raggi, l’ala “ni vax” del Movimento (come avrà fatto con il green pass?). L’ex sindaca mantiene un bel seguito fra i militanti e, da ex membro del comitato di garanzia, viene consultata. Ecco Di Maio sta parlando: “Serve dialogo non aggressione”. Ma è il resoconto della telefonta con l’omologo russo Sergej Lavrov. Nessuna sa come andrà a finire. Per Grillo Conte deve accettare altre due votazioni su Rousseau per evitare altri intoppi. L’ex premier vede i fantasmi, le trappole e inizia a nutrire sospetti. Troppi.
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