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Proteggere il premier

Perché oggi l'Italia non può fare a meno di Draghi

​​​​​​​Alberto Brambilla

Dopo averlo perso al Colle, c’è il rischio di perderlo a Chigi: un lusso che la nostra politica, e non solo, proprio non può permettersi. Un ripasso, con avvertimento

La politica italiana la cui litigiosità è testificata dai continui cambi di governo, deve fronteggiare tanti problemi: la lotta al virus ma anche debito pubblico, inflazione, spread, lavoro, patto di stabilità e tapering. In una situazione così grave sarebbe necessario e logico che quel che resta della democrazia rappresentativa, cioè i partiti, si accordassero per risolvere questi importanti problemi. Purtroppo la democrazia italiana è prigioniera di una oligarchia politica occupata più a catturare il consenso degli elettori con continue promesse per la più parte a debito che ad affrontare i gravi problemi che assillano il Paese da ormai troppi anni. E così, in questa grave crisi, purtroppo non percepita come tale da questa politica, anziché sostenere l’unica personalità che nella lotta al Covid e in economia ha ereditato da Giuseppe Conte quello che a marzo 2021 era il secondo peggiore tra i principali 30 Paesi mondiali e in meno di 10 mesi lo ha portato tra i primi 5, ogni gruppo inventa e propone nuovi bonus, sconti fiscali, prebende; ma non solo: si divide anche sul fronte del virus, i cui sviluppi sono imprevedibili persino per gli scienziati che hanno progettato i vaccini, litigando sul green pass. Una parte vorrebbe introdurre la vaccinazione obbligatoria erga omnes mentre il capo del Governo, correttamente, vorrebbe continuare sulla obbligatorietà del green pass.

 

La differenza non è di poco conto per 2 motivi: a) obbligare tutti a vaccinarsi sarebbe anche possibile costituzionalmente e probabilmente risolverebbe una parte del problema dei “paurosi” ma, in un paese di furbi dove ottieni l’infortunio sul lavoro anche se ti fai male quando vai da casa tua al lavoro (o perlomeno dici che stavi andando al lavoro), dove si ottiene la indennità Inail se ti fai male in pausa caffè, il rischio è che una volta vaccinati, qualsiasi successivo malanno venga imputato al vaccino e quindi che si scateni una enormità di cause civili quando non penali contro lo Stato. Persino Giorgetti se ne è uscito dicendo che si deve introdurre l’obbligo vaccinale ma se poi ci sono problemi lo stato deve pagare. Tradotto: li curiamo tutti gratis, oltre la metà dei curati non paga un euro di tasse, spendiamo miliardi di euro per garantire la salute e se poi uno pensa che la parotite o l’ernia gli sia venuta in seguito al vaccino si iscrive a una delle tante associazioni dei consumatori e giù cause a fotocopia contro lo Stato; un grave rischio per il Paese in termini di costi (domandarsi sempre chi paga) e ulteriori discussioni. b) l’obbligo del green pass rinforzato è invece la strada più giusta e democratica perché riduce i rischi di una più che probabile rivolta di no vax mischiati ai centri sociali, casa pound, anarchici e così via, rispetta la volontà di chi non si vuole vaccinare sapendo che dovrà subire delle limitazioni anche in termini di lavoro e stipendio, non per cattiveria ma per tutelare quel 90 per cento di brava gente che si è vaccinata e che rispetta i malati di tumori, di cuore e quelli cronici, che spesso, a causa dei non vaccinati, non si sono potuti curare. Ma c’è anche chi contestando il green pass dà man forte ai no-vax e, se ci sono ancora oltre 5 milioni di italiani non vaccinati, una grande responsabilità ce l’ha questa parte politica.

 

Oltre al Covid ci sono il Pnrr con l’Unione Europea che ci osserva e controlla, l’inflazione che galoppa e con essa i rincari di tutti i prodotti, lo spread di cui molti politici si sono dimenticati e il prezzo dell’energia che aumenta anche per il ricatto di Putin che rallenta la fornitura di gas, in pieno inverno, perché non gradisce interferenze quando sopprime la libertà dei suoi concittadini o si appropria della Crimea o vuole invadere l’Ucraina. Infine, ci sono altri due rischi: la fine della politica monetaria accomodante della BCE iniziata nel 2015 e la ormai prossima reintroduzione del patto di stabilità.

 

Oggi la politica è guidata da Draghi, un “nonno” che gode di grande fama e rispetto in Europa e nel mondo e al quale i fondi del Pnrr non si negheranno mai neppure se faremo, come sicuro, qualche ritardo nel programma; eppure, c’è chi pensa che possiamo andare avanti bene con Draghi o anche senza. E con chi potremmo andare avanti: con quelli che negli ultimi 20 anni hanno portato il paese al primo posto per debito pubblico e all’ultimo per occupazione, sviluppo, produttività, tempi della giustizia, scuola; l’unico paese che negli ultimi 30 anni ha avuto una perdita reale del 2,9 per cento delle retribuzioni medie? O con chi chiede continui scostamenti di bilancio nonostante i debiti accumulati per finanziare progetti come il super bonus 110 per cento che costa 33 miliardi ma ne spreca un terzo. Siamo seri e facciamo di tutto affinché il primo ministro possa lavorare al meglio, facendo di tutto per evitare di perderlo a Palazzo Chigi, dopo averlo già sciaguratamente perso al Colle.  
 

Alberto Brambilla, già consigliere di Palazzo Chigi e docente universitario

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