(foto Ansa)

l'intervista

“Un certo ambientalismo ci impedisce di prendere le decisioni sensate”. Parla Mattia Santori

Giuseppe De Filippi

“Se non fai politica energetica, non conti nulla. Stiamo ancora pagando i danni del referendum del 1987 sul nucleare”, ci dice la sardina nazionale

Di energia si parla solo quando viene a mancare e nessuno, però, ha fatto in modo che non venisse a mancare”, c’è un tono un po’ sconsolato di fronte al disastro energetico nazionale, come se a parlare fosse un vecchio disilluso e non una giovane e speranzosa sardina, in queste prime parole che raccogliamo da Mattia Santori. “L’inizio del declino coincide con il referendum del 1987 e da allora non si è più fatta politica, cioè programmazione, energetica in Italia”.

“E se non fai politica energetica – aggiunge con tono ancora più saggiamente vicino al realismo politico – poi non hai più voce in capitolo in ciò che riguarda la gestione, l’autonomia, la produzione del fabbisogno energetico e anche nei rapporti internazionali sul mercato, questo è il macrotema, l’Italia, a oggi, non è padrona di niente sul mercato energetico, non ha capacità di influenza”. Sono temi gravi, alla base della capacità di funzionare di un paese e della sua economia, e incuriosisce che pochi abbiano il realismo e la competenza di un giovanissimo consigliere comunale bolognese. E che si dice anche indipendente dalla linea storica della città in politica industriale, quella che parte da Romano Prodi e passa per Alberto Clò. “Con Clò spesso ci litigo – ci racconta – perché mi sembra esasperatamente vendicativo nei confronti delle rinnovabili e dell’auto elettrica, per citare un tema, ma riconosco che lui è una persona che quando parla di politica industriale ha pochissimi rivali in circolazione. Anzi, vorrei ritrovare ora, ma su basi nuove, la capacità innovativa e la visione che si trovavano negli anni Ottanta nella analisi prodotte da persone come Clò, Prodi e Angelo Tantazzi”.

Ma, chiediamo, l’allineamento all’Ue non bastava per dare all’Italia una politica energetica e una voce nel confronto mondiale? La risposta è in un’altra domanda. “Da quanto è che l’Ue parla di mercato unico dell’energia senza mai arrivare a una sintesi? Leggo, e mi fa ridere amaramente, che il primo tavolo sulla crisi dei costi dell’energia a livello europeo è stato fatto nell’ottobre scorso. Le politiche energetiche si realizzano su cicli di decenni. Il petrolio, che oggi ci sembra il re leone, per soppiantare il carbone ci ha messo cinquant’anni, e il gas per soppiantare il petrolio ci sta mettendo molto più del previsto. Le rinnovabili a loro volta, per far fuori il gas, ci metteranno altri cinquant’anni. Capiamo tutti che, con questi tempi, le soluzioni di emergenza, cui siamo abituati in altri ambiti, nell’energia semplicemente non esistono”.

Sotto questa scure cadono anche le trovate degli ultimi giorni, come gli appelli a estrarre più gas dove possibile. “Il gas dell’Adriatico, certo, ora si può anche estrarre maggiormente, ma io vorrei prendere uno per uno, gli ultimi sono stati Matteo Salvini e Giuseppe Conte, tutti quelli che in questi anni hanno affossato il settore e chiedere loro se fosse giusto che si triplicassero i canoni di concessione a un’attività economica che produce una materia prima di cui abbiamo bisogno. Dopo parliamo del mix energetico, ma, intanto, chiedetevi perché avete distrutto quel settore. Dopodiché io lo so che non è il gas nazionale che risolve tutto, può arrivare dalle parti dell’8 per cento del fabbisogno, utile ma non decisivo. Però resto colpito dalla schizofrenia di chi prima gli triplicava i canoni, trattava i campi accettati dalla politica come una specie di zoo, confinando lì e solo lì l’attività estrattiva, e ora implora di estrarre come pazzi”.

Come ti trovi, anche per rappresentare la proposta politica delle sardine, ad avere inevitabilmente compagni di strada con visioni molto diverse da questo tuo saggio realismo in campo energetico e con un certo ambientalismo che rifiuta tutte le soluzioni possibili? “Io parlo a nome mio, nel nostro movimento ci sono tante visioni, io cerco sempre di ragionare in termini di conflitti ambientali, penso che i conflitti su ciò che riguarda l’energia e l’ambiente si risolvono trovando un equilibrio corretto tra diverse tecnologie energetiche e non cercando chi ha ragione e chi ha torto in astratto. Si deve ragionare in termini rigorosamente scientifici, non con contrapposizioni fondate su chissà cosa. Il referendum del 1987 è stato un errore esemplare, non perché il nucleare fosse giusto, ma perché decidere sulla politica nucleare a brevissima distanza del disastro di Chernobyl è un errore, perché non prendi decisioni di cui tuttora stiamo pagando i prezzi in un clima ideologico e psicologico come quello. Oggi direi certamente che il nucleare con le attuali tecnologie è meglio non usarlo in Italia ma, nella prospettiva corretta, che è quella lunga, direi di sì, nel senso di impegnarsi per essere pronti all’uso della fusione nucleare e per fortuna in Italia le competenze ancora ci sono. Non servono però processi ma solo una riflessione pubblica e un po’ di riconoscimenti degli errori del passato e penso sia alla politica sia a un certo tipo di opinione pubblica, a sua volta influenzata da una nicchia dell’ambientalismo che ha esasperato un tema e impedisce, oggi, di prendere decisioni sensate”.

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