Letta e Renzi, un incontro per avviare l'intesa sulle amministrative, con vista 2023
Nei giorni della passione grillina, il segretario del Pd cerca di mettere in sicurezza il "campo largo". "Se Matteo ci vorrà stare, è il benvenuto, ma nessun veto al M5s", dice Boccia. Il senatore di Scandicci pensa a un patto di non belligeranza coi dem per le comunali, e spera in un sostegno su Palermo e la Sicilia. Gli scenari di voto nei capoluoghi
E’ l’incontro del dopo, per discutere di ciò che resta dopo la baruffa quirinalizia. Ma è anche quello che serve a definire quel che verrà. Le divergenze restano, certo. Le ruggini personali stanno lì, incrostate dove è più difficile rimuoverle. E però nella settimana del Colle c’è stato “un riconoscimento reciproco”, dice Enrico Letta: una mutua attestazione di professionalità, quantomeno. “Più volte m’è sembrato che fossimo gli unici due a percepire la reale gravità della partita in atto”, ha confessato il segretario del Pd. E allora eccolo qui, a metà mattina, apparire davanti a Palazzo Giustiniani. Matteo Renzi lo aspetta nel suo ufficio, come anticipato ieri dal Foglio.it, dopo una nottata passata a spiegare ai suoi le ragioni di una controffensiva mediatica contro i pm che lo accusano sul caso Open che, dice il senatore di Scandicci, ha poco a che vedere con la magistratura e molto a che vedere con giochi più indicibili. Si lancia perfino in un paragone col Clint Eastwood di “Gran Torino”, quello che se la prende coi bulli del quartiere: “Ogni tanto si incrocia qualcuno che non va fatto arrabbiare”.
Ma Letta è qui per altro. E’ il campo largo, che gli sta a cuore, e il modo con cui costruirlo per le politiche del 2023. “Ed è inutile farci grandi dissertazioni, sul tema”, ha spiegato ai membri della sua segreteria due giorni fa, “saranno il tavolo delle riforme e le amministrative di primavera, a dare indicazioni sul perimetro delle coalizioni”. Questo è l’argomento del giorno, dunque: le amministrative. “Noi, come Pd, ripartiamo dal modello vincente del 2020: l’alleanza di progressisti e riformisti che mette nell’angolo la destra di Salvini e Meloni”, ci dice Francesco Boccia, responsabile Enti locali del partito che giovedì, al vertice del Nazareno, ha illustrato i vari scenari di voto nelle principali città. “Se Renzi ci vorrà stare, come ci auguriamo, è il benvenuto. Ma non può imporre veti sul M5s, che resta una componente importante dell’asse rossogiallo”.
Insomma le incognite restano tutte, al momento, in vista del voto di maggio in venticinque capoluoghi. Ma c’è anche qualche segnale. Indizi di distensione da parte di Renzi: l’idea, cioè, che in nessuna città in bilico Iv si spenderà per danneggiare il Pd. Almeno questa è l’idea che si sono fatti i parlamentari che lo hanno sentito ragionare sull’inopportunità di sostenere un candidato di Fratelli d’Italia a Rieti, o di lavorare per la formazione di un polo centrista a Parma dove invece il Pd spera di costruire una candidatura larga per recuperare il municipio dopo il decennio pizzarottiano. E lo stesso vale a Lucca, dove la paventata candidatura del riformista Giorgio Del Ghingaro complicherebbe i piani dei dem. “E di certo non sarebbe un buon segnale se davvero alle provinciali di Cosenza il portabandiera del centrodestra fosse Ernesto Magorno, senatore di Iv”, puntualizza Boccia. Ovvio, molto dipenderà dai nomi scelti. A Catanzaro, ad esempio, il Pd ha tre opzioni a disposizione. E di queste una, quella di Nicola Fiorita, è la più gradita all’ala sinistra del partito, e invocata anche dal M5s; Valerio Donato, invece, sarebbe espressione di un Pd che guarda al centro. Ci si rifugerà probabilmente nelle primarie. “Noi dobbiamo puntare a unire e allargare il più possibile”, conferma Boccia.
Il quale sa che le partite principali, però, saranno altre. Genova, anzitutto, dove il Pd ha scelto di puntare su quell’Ariel Dello Strologo che era uno dei due nomi su cui anche i renziani scommettevano per le regionali dello scorso anno, quando poi si scivolò su Ferruccio Sansa per accontentare i grillini. Che invece ora, polverizzati anche nella città di Beppe Grillo, non hanno posto obiezioni sul presidente della comunità ebraica, complicando però la scelta di Iv. “Io resto convinta che qui in Liguria il modello vincente sia quello di Savona, dove qualche mese fa vincemmo nettamente grazie a una coalizione di centrosinistra a trazione riformista che non includeva il M5s”, riflette Raffaella Paita. “Le altre opzioni le valuteremo”, aggiunge.
Non da soli, peraltro. Perché Renzi, nella federazione con Toti, ci crede davvero, e mette nel conto che l’ex forzista si porti avanti col lavoro lanciando una nuova creatura già nei prossimi giorni, anche per smarcarsi da quel compagno di brigata, Luigi Brugnaro, che è irremovibile nella sua convinzione di restare agganciato alla destra. “Ma con Salvini e Meloni cosa abbiamo da condividere?”, ripete Renzi, col tono di chi vuole rassicurare le sue truppe. La tentazione è dunque quella di riallacciare i rapporti con Letta, e magari trascinarsi anche i centristi e pezzi di FI in quest’operazione. Che avrebbe come suo laboratorio la Sicilia. Che sia allora questo, il grande sogno del senatore di Scandicci? Garantire lealtà a Letta sul “campo largo”, e strappargli in cambio un sostegno per Palermo, dove il candidato che potrebbe sparigliare tutto è proprio Davide Faraone? “Ma il capoluogo si lega alla regione – sorride Boccia – per cui prima si dovrà capire cosa fare per Palazzo d’Orleans”. E’ lo spettro di Gianfranco Micciché. E, con lui, quello dell’esperimento “Ursula”. “Ma in Sicilia – si schermisce Boccia – è ancora tutto da decidere”.