Perché non possiamo fare gli ambientalisti con il c… degli altri
Il termovalorizzatore? Non nella mia città. Il nucleare? Meglio quello francese. Il gas? Non quello in fondo ai nostri mari. I rincari dell’energia e le ipocrisie ambientaliste. È ora di dire basta all’agenda Tafazzi
Dice un vecchio saggio che la fissazione è peggio della malattia, ed è vero, ma quando la fissazione ti porta a smascherare alcune ipocrisie, utilizzare la fissazione può diventare un modo per provare a guarire alcune malattie. Una malattia, ideologica naturalmente, che vale la pena mettere a fuoco nella stagione delle bollette che aumentano, delle materie prime che mancano, dei rincari che galoppano è quella che riguarda una particolarissima forma di ambientalismo, che potremmo definire, mutuando una storica definizione dell’indimenticabile Stefano Ricucci: salvare l’ambiente con il culo degli altri. Non tutti i rincari, e nemmeno tutte le bollette salate che avete sotto gli occhi, passano da qui, naturalmente. Eppure, la crisi energetica che sta vivendo l’Italia, insieme con il resto d’Europa, negli ultimi tempi ha avuto l’effetto di illuminare alcune ipocrisie ambientaliste che vale la pena appuntarsi.
L’ipocrisia degli utilizzatori finali (ops). La questione riguarda tre ambiti, ognuno dei quali coincide con un tabù. A: il nostro rapporto con i termovalorizzatori. B: il nostro rapporto con il gas. C: il nostro rapporto con il nucleare.
Sono tre storie apparentemente scollegate tra loro che però, messe insieme, ci aiutano a fotografare bene una realtà interessante che riguarda un pezzo d’Italia: chi usa un’ideologia tossica per curare malamente l’ambiente. Pensate ai termovalorizzatori e pensate al caso di una città come Roma, che rifiutandosi da anni di costruire un termovalorizzatore per smaltire i suoi rifiuti e trasformarli in energia accetta di spendere molti soldi (55 milioni di euro all’anno, spese che ricadono sulle bollette dei cittadini: il Lazio ha una delle Tari più alte d’Italia) per portare, con camion tra l’altro molto inquinanti, i suoi rifiuti in altre città italiane (Brescia, Bologna, Acerra) in cui i termovalorizzatori funzionano, non inquinano e producono energia.
Pensate a questo ma pensate anche agli atri due mondi: quello del gas e quello del nucleare. Succede così, sul nucleare, che l’Italia, pur essendo fermamente, saldamente, tostamente contraria, compri ogni anno il 5 per cento di energia dalla Francia, che la produce con il nucleare a due passi da noi (in Francia sono attive 18 centrali nucleari per un totale di 56 reattori, con cui sono prodotti 379,5 TWh di energia elettrica, più del 70 per cento del totale prodotto nel paese, e non a caso, secondo le stime dell’Agenzia internazionale dell’energia, la Francia è il primo paese al mondo per esportazioni di energia elettrica).
E succede così sul gas, dato che l’Italia, come abbiamo già ricordato alcuni giorni fa, preferisce importare il 95 per cento del suo fabbisogno di gas (nel 2020 il fabbisogno di gas naturale dell’Italia è stato di circa 70 miliardi di metri cubi e di questi solo 4,1, quindi poco meno del 6 per cento sono stati estratti in Italia) piuttosto che occuparsi di come sfruttare gli oltre 90 miliardi di metri cubi di metano in fondo al mare italiano (ci sono impianti bloccati nell’Alto Adriatico, in Emilia-Romagna al largo di Ravenna e Comacchio, nelle Marche al largo di San Benedetto del Tronto e in Abruzzo in prossimità di Alba Adriatica, sospensioni davanti alla Puglia) che potrebbero arrivare a quota 120-130 miliardi se si considerano le risorse potenziali di gas non ancora accertate (mentre gli amici di Michele Emiliano esultano per rendere impossibile all’Italia l’estrazione del gas dai suoi mari, la Croazia, il Montenegro, l’Albania e la Grecia attingono senza sosta dagli stessi giacimenti in fondo al mare, dall’altro lato dell’Adriatico, da cui potrebbe attingere l’Italia). In una fase in cui il gas è destinato a diventare sempre di più una merce rara.
Perché? Facile. C’entrano i rubinetti della Russia (che casualmente si chiudono proprio quando in Europa cresce la domanda di gas) ma c’entra anche un fatto politico ed economico enorme, poco raccontato dai grandi giornali. Quel fatto è la decisione della Cina di impegnarsi in una crescita delle temperature non superiore a 1,5 gradi da qui al 2050. Una decisione che ha spinto il paese a imprimere una rivoluzione alla propria rotta energetica, che porterà la Cina a sostituire progressivamente il carbone con il gas e che porterà la Cina a passare da un consumo annuo di gas pari a 80 miliardi di metri cubi, più o meno quanto ne consuma oggi l’Italia, a un consumo pari a quasi il triplo di tutta l’Europa, 800 miliardi di metri cubi all’anno. E un paese come l’Italia dovrebbe sapere che se le materie prime restano quelle (offerta) e la domanda aumenta, il risultato sarà quello di avere un costo della materia prima superiore a quello di oggi.
Si tratta di una follia autolesionistica non solo per tutto ciò che riguarda la non indipendenza energetica dell’Italia ma anche per tutto ciò che comporta il rifiutarsi di produrre energia che poi si è costretti a comprare da qualcun altro. Si riducono i posti di lavoro, non si incassa l’Iva, si arricchiscono altri paesi e non si dà alcun contributo alla riduzione delle emissioni. Fino a quando ci si potrà permettere di pagare il costo dell’ambientalismo tossico? Fino a quando ci si potrà permettere di essere seguaci dell’agenda Tafazzi? Fino a quando ci si potrà permettere di fare gli ambientalisti con il posteriore degli altri?