Tra balneari e Superbonus, prosegue la prova di forza tra Draghi e i partiti
Alla Camera la maggioranza va in fibrillazione sulla mozione della Meloni contro la Bolkestein. Crippa a Patuanelli: "Ci facciamo male". Il premier stringe i tempi e porta la norma in Cdm: ecco i dettagli. Sui bonus edilizi è pronto il pacchetto correttivo, ma Palazzo Chigi vuole concedere il meno possibile ai fan della norma. Venerdì il decreto
Mercoledì andrà a Parigi, da Emmanuel Macron, per discutere del ginepraio del Sahel, alla vigilia del Consiglio europeo congiunto con l’Unione africana a Bruxelles. C’è poi la costante minaccia di un precipitare degli eventi in Ucraina, da monitorare. E però, se a metà pomeriggio Mario Draghi decide di stringere finalmente i tempi sulle concessioni balneari e sul Superbonus, è perché su entrambe le questioni il gioco delle parti tra i leader della sua maggioranza va avanti da troppo tempo, e l’attendismo di Palazzo Chigi rischia di produrre contorsioni parlamentari sempre più surreali.
Il paradosso è quello che del resto ha fotografato il ministro Federico D’Incà la scorsa settimana, quando ha spiegato ai capigruppo di maggioranza quanto sia rischioso rivendicare autonomia, se poi la si utilizza per incaponirsi su tatticismi inconcludenti che finiscono per legittimare il decisionismo del governo. Sui balneari, ad esempio, questo stallo dura da nove mesi. E il bello è che, dopo una serie interminabile di confronti, mediazioni, tavoli di concertazione coi rappresentanti del settore, si è tornati al punto di partenza: ovvero al testo concordato tra il Mise e Palazzo Chigi a luglio scorso. Ma in questo gioco dell’oca, la maggioranza che sostiene Draghi riesce ora ad andare in tilt per una mozione di Giorgia Meloni, che propone soluzioni talmente irrealistiche da non essere buone ad altro se non a mostrare il drappo rosso della Bolkestein a Matteo Salvini. “Guardate che se non la gestiamo, questa roba dei balneari diventerà esplosiva”, ha spiegato domenica sera Davide Crippa, capogruppo del M5s alla Camera, al ministro Stefano Patuanelli. E del resto in quelle stesse ore il grillino Sergio Battelli, insieme al dem Piero De Luca e al renziano Marco Di Maio, avevano il loro bel daffare per frenare le escandescenze della forzista Cristina Rossello, pronta a promuovere un testo alternativo a quello del centrosinistra sulle concessioni. Il tutto, prima che Mariastella Gelmini convenisse col capogruppo Paolo Barelli che no, non era il caso di assecondare le “sparate” della Meloni.
E dunque l’urgenza della scelta diventa ancora più evidente: per questo Draghi decide di convocare per oggi un Cdm, per approvare un disegno di legge ad hoc che avvii subito una ricognizione delle concessioni, e affidi poi a una legge delega la definizione dei parametri per l’indizione dei bandi, che garantiranno comunque delle tutele ai gestori uscenti. E’ al tempo stesso una sfida e una richiesta di collaborazione al Parlamento, da sempre sensibile alle mille lobby del settore. Non a caso l’azzurro Maurizio Gasparri, gran sostenitore dell’infondatezza della direttiva Bolkestein, giorni fa dispensava serenità ai colleghi allarmati per un eventuale blitz di Draghi: “Gli abbiamo già dimostrato che non può ignorare i voleri del Parlamento sulla partita del Colle, e anche qui faremo il nostro compito di liberi deputati e senatori”.
E certo, le tensioni sono reali, sul tema, se perfino il comitato per la legislazione di Montecitorio, domani, pubblicherà un rapporto, a firma del costituzionalista dem Stefano Ceccanti, teso a evidenziare le troppe, perduranti storture nell’iter legislativo degli ultimi dieci mesi. E però non appena Draghi ha concordato coi suoi ministri di lasciare al Parlamento l’onere dell’intesa di merito sulla riforma del Csm, i partiti di centrodestra hanno iniziato a vagheggiare come risolutive le ipotesi che si era convenuto di tenere fuori dalla discussione, come il sorteggio.
Una commedia degli equivoci che Draghi ha già visto sul Superbonus. Anche lì, per evitare di imporre dall’alto una linea, aveva messo a verbale il suo “non expedit” sulla proroga allegra degli incentivi all’edilizia, lasciando comunque margine d’azione ai partiti. Che quello spazio se l’erano preso per estendere al massimo il bonus, spingendo poi il Mef a intervenire con correzioni così stringenti da paralizzare di fatto la misura. Al punto che perfino il renziano Luigi Marattin, assai diffidente sulla bontà della norma, si è ritrovato a invocare “qualche correttivo per evitare di creare problemi alle piccole imprese”. E insomma il Mef è corso ai ripari, promuovendo un emendamento al Milleproroghe in discussione alla Camera: solo che per salvare le forme, l’intervento avrebbero dovuto intestarselo i relatori del provvedimento, di M5s e Lega, che ovviamente non erano granché concordi. E nel caos generale si è finiti perfino col ministro Giorgetti che, appena ha offerto una sponda al premier nelle critiche al Superbonus, s’è ritrovato fulminato dal suo stesso segretario, quel Matteo Salvini che ha dovuto gestire le lamentele del suo responsabile Economico, Alberto Bagnai, indignato perché “la posizione espressa da Giorgetti non è quella del partito”. E dunque, di fronte all’ennesima isteria parlamentare, Draghi ha deciso di risolvere la baruffa in Cdm. Se ne discuterà venerdì, pare, insieme a un pacchetto di misure per fronteggiare il caro bollette. Ed è qui che si rivedranno i vincoli sul Superbonus: garantendo le tutele del caso alle partecipate (Cdp e Poste) più esposte, e concedendo facoltà di cessione multipla dei crediti d’imposta ai soli operatori finanziari accreditati da Banca d’Italia o comunque all’interno dei rispettivi gruppi aziendali.