quali prospettive?

Da Franceschini a Carfagna, nemmeno moderati e centristi credono al "grande centro"

Ruggiero Montenegro

Il terzo polo a cui lavorano Toti e Renzi fatica a decollare e il progetto per ora raccoglie solo bocciature. Il ministro per il Sud: "Tecnicamente impossibile con questa legge". Il responsabile della Cultura: "Non credo alla rinascita di un centro trasversale". E il costituzionalista Ceccanti (Pd) mette in guardia sui rischi del proporzionale e del Draghi bis

Da Toti e Brugnaro, a Lupi, Bonino e Calenda. E poi, chiaramente Matteo Renzi: tutti insieme, appassionatamente. E rigorosamente al centro, per quel nuovo soggetto politico, sempre più spesso evocato e descritto alle volte come la panacea dei mali (almeno di alcuni) del sistema italiano. Un nuovo polo che dovrebbe andare oltre la somma dei suoi componenti e secondo i sondaggisti potrebbe aggirarsi intorno al 10-15 per cento. O ancora oltre, se fosse in grado di attirare i moderati degli altri partiti. Una sorta di modello Democrazia cristiana (ma forse è soltanto nostalgia) o di federazione per e di Mario Draghi, premier anche dopo il 2023.

Solo che poi, quando si tratta di prendere davvero posizione, i moderati degli altri partiti - i centristi appunto - si sfilano e rimandano il pallone dall'altro lato: non ci credono nemmeno loro, che pure dovrebbero essere i principali interlocutori del nuovo soggetto. È il caso per esempio di Mara Carfagna. Renzi, Toti e Brugnaro? “Mi sembra che al momento il progetto sia in stand-by. Resto convinta che sia tecnicamente impossibile costruire una forza di centro con una legge elettorale che di fatto impone il bipolarismo”, risponde alla Stampa la ministra per il Sud. Piuttosto, secondo la forzista, bisognare limare le spinte sovraniste all'interno del centrodestra, secondo un modello già sperimentato e il cui perno resta Berlusconi: “La sola garanzia che vedo per il futuro della coalizione è che la cultura moderata torni a essere trainante”. Salvini, Meloni e pure Toti, prendano appunti.

E in qualche modo, anche Massimiliamo Fedriga, uno che non può essere tacciato di “centrismo” ma certamente è uomo pragmatico come ha dimostrato la pandemia, ha voluto mandare un avviso ai naviganti e anche ai colleghi della Lega, restringendo il perimetro: “Credo che il centrodestra debba confrontarsi anche duramente su un progetto di governo. Il futuro – ha spiegato a Repubblica il governatore del Friuli-Venezia Giulia, replicando a chi auspica una svolta moderata a destra – non può essere un cartello elettorale, altrimenti non andiamo da nessuna parte”.

 

Insomma centristi va bene, moderati sicuramente, ma ognuno per la propria strada, a destra o a sinistra. Lo stesso schema disegnato ieri dal ministro della Cultura Dario Franceschini, che di compromessi e mediazioni se ne intende. Eppure: “Non credo alla rinascita di un centro trasversale. Penso invece che lo spazio del centro sia comunque dentro i rispettivi poli", ha detto ieri l'esponente dem a chi gli chiedeva se una terza area politica potesse essere parte del campo largo inseguito dal segretario Letta. Piuttosto, anche Franceschini fa il tifo per “la formazione di un’area conservatrice moderata nel centrodestra”, che potrebbe essere favorita dal ritorno al proporzionale puro, “perché verrebbe meno la necessità di coalizzarsi prima del voto. Tuttavia credo che questo percorso possa compiersi lo stesso anche senza cambiare la legge”. Il ministro ritiene fondamentale un'evoluzione di tutto il sistema politico, che possa così andare oltre la supplenza di Mario Draghi e avere già in sé gli anticorpi contro le prossime crisi.

Un punto sollevato in maniera ancora più netta dal suo collega di partito Stefano Ceccanti che ha spiegato, dalla sua prospettiva di costituzionalista e di deputato, perché un bis dell'ex presidente della Bce non sarebbe auspicabile: “Quella che alcuni commentatori descrivono come una soluzione ottimale, ossia elezioni senza risultati chiari e un ritorno di Draghi al Governo per incapacità di tutti di produrre soluzioni fisologiche, sarebbe una sconfitta”, ha detto al Riformista. Tanto più se uno scenario simile fosse in qualche modo apparecchiato a tavolino oggi: “Anche l'idea di una legge proporzionale per raggiungere questo obiettivo mi sembra un'anomalia: nei paesi in cui si vota con questo sistema nessuno pensa di eludere il voto e i governi si fanno intorno ai candidati espressi prima del voto”. E poi c'è un altro rischio, che l'Italia del Pnrr proprio non può permettersi di correre. Perché, ragiona Ceccanti, è vero che anche un Draghi bis porterebbe il sistema verso il centro, ma lo farebbe ad un prezzo alto, “un'ingessatura statica” della politica. E allora, non resta che una domanda: “Siamo sicuri che si potrebbero fare riforme e non si finirebbe in una palude?". 

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