L'intervista

Il vero Dna del centrodestra è la concretezza. Parla Letizia Moratti

Maurizio Crippa

"La candidatura al Qurinale? Ho detto sì per dare una testimonianza. Vaccini? La Lombardia  è la prima regione al mondo per le terze dosi". La vicepresidente lombarda, varata la riforma della Sanità, racconta la sua idea di politica: senso istituzionale e depoliticizzazione

“Ora siamo la prima regione con una mappatura in tempo reale di tutte le attività sanitarie, la prima regione al mondo per le terze dosi; abbiamo approvato una delibera che introduce un meccanismo premiale-sanzionatorio, dal 5 al 50 per cento del contributo spettante, per le strutture di sanità privata convenzionata che non rispettano la tempistica richiesta”. L’appuntamento con la vicepresidente della regione Lombardia, e assessore al Welfare, non è per parlare di Sanità. Ma è difficile non farlo: da pochi giorni Letizia Moratti ha incassato il via libera del governo alla legge di riforma del settore. “La Lombardia è la prima regione italiana che dà piena attuazione al Pnrr per la Sanità”, tiene a sottolineare. “In un anno abbiamo costruito una capacità di governo della Sanità che prima mancava”.

 

Ecco, il (buon) governo, espressione cara alla storia del centrodestra, ci avvicina all’argomento: un centrodestra pragmatico, un polo liberal-democratico, è ancora possibile? Quel centrodestra in cui Letizia Moratti, che pure è sempre rimasta indipendente dalle logiche di partito, si è sempre riconosciuta appare spampanato e ha dato un’immagine di debolezza anche nella recente vicenda del Quirinale. A un certo punto il nome di Letizia Moratti è stato uno di quelli proposti. Una scelta condivisa, o è stata un’esposizione inutile? “Quando, solo dopo la rinuncia di Berlusconi, mi è stata chiesta la disponibilità – ma all’interno di una rosa di nomi di cui ho grande stima, come Marcello Pera e Carlo Nordio – sono stata titubante. Ho detto di sì per una motivazione precisa e dichiarata: l’esigenza di dimostrare che il centrodestra ha nelle proprie file tante energie umane, professionali, istituzionali spendibili per le più alte cariche del paese. Volevo aiutare a smentire la falsa narrazione di un centrodestra inadeguato, privo di classe dirigente. E’ stato da parte mia per dare una testimonianza. Sono onorata di aver dato questo contributo”. 


L’appuntamento con Letizia Moratti, al 32esimo piano di Palazzo Lombardia, non era nemmeno per rovistare nella vicenda del Quirinale. Ma ugualmente è un altro passo, al centro dell’argomento. Oggi il centrodestra – che alla fine ha responsabilmente contribuito alla rielezione di Sergio Mattarella, ma dividendosi da Fratelli d’Italia e creando divergenze nella Lega; il centrodestra che sostiene il governo di Mario Draghi, ma diviso anche qui da FdI – non offre segnali di compattezza né di forza strategica. E’ come se dovesse ritrovare un suo baricentro. “Sono convinta che nel centrodestra attuale ci siano più punti e motivi di convergenza che di divisione”, riflette la vicepresidente lombarda. “Vedo un centrodestra che non può che essere liberale, convintamente europeo e saldamente collocato – è la cronaca drammatica di questi giorni – nell’Alleanza atlantica. E’ un’area moderata che ha ancora in Berlusconi il suo riferimento”. Eppure i partiti che raccolgono i maggiori voti esprimono il contrario, anche in Europa ammiccano al sovranismo o al populismo.

 

Dilemma irrisolvibile? “Io direi anche che quelle tendenze che lei chiama sovranismo, o antieuropeismo, hanno avuto negli scorsi anni motivi per certi versi comprensibili. Ora credo sia più facile per tutti, davanti a uno sforzo enorme come il Pnrr, dire di sì all’Europa. Ma l’Unione europea non  è sempre stata all’altezza delle aspettative dei cittadini, penso a certe zavorre burocratiche anche per le nostre imprese, alla difficoltà di creare spirito d’appartenenza. Ci sono le grandi differenze culturali e storiche che non possono essere dimenticate o cancellate. In questo, alcune forze politiche preferiscono esprimere di più le insoddisfazioni e le delusioni. Credo invece che occorra, per il centrodestra di oggi di domani, una maggiore consapevolezza della collocazione dell’Italia nel contesto dell’Unione. Dobbiamo stare ancorati ai nostri valori di appartenenza occidentale, di libertà, di libero mercato, ma anche di solidarietà”.
 Altro passo verso il cuore della faccenda: nel centrodestra così diviso e anche rissoso (ma questo non è una qualità solo della destra) ci sono le forze per farlo? “Credo di sì, e il ruolo del centrodestra di cui parlo è di aiutare a fare due cose: l’Europa deve rinforzarsi  – il contrario di quel che dice il sovranismo – ma deve anche recuperare la fiducia dei cittadini. Faccio due esempi. Uno è proprio la crisi del gas. Oggi l’Europa è ostaggio, per uscirne dobbiamo avere più forza di competizione politica, cioè una posizione unica; e poi dobbiamo puntare sull’innovazione, sulle nostre industrie e sulle fonti energetiche. Ma non lo può fare ogni paese per sé, e il punto non è solo mettere risorse per tappare il buco delle bollette. Secondo esempio. I vaccini. Anche per evidenti errori,  l’Europa ha iniziato male, in ritardo, con poca forza contrattuale. Poi si è ripartiti meglio. Ma è un altro esempio di poca efficienza, che crea sfiducia nei cittadini”.


 

Ricreare unità su una piattaforma come questa richiede anche una leadership chiara, e un gruppo dirigente competente. Sono  problemi – la leadership e l’eccesso di rissosità – che ovviamente accomunano tutti: la sinistra, il wannabe centro, per non parlare del M5s. Ma il centrodestra ha un problema. Non le pare? “Mi sembra che ci sia, innanzitutto, una narrativa per cui i problemi siano solo nel centrodestra, ma non è vero”. Forse non è casuale che Mario Draghi sia la quintessenza del tecnico, o sarebbe meglio dire del civil servant; che per il Quirinale siano usciti soprattutto nomi  istituzionali. Lei stessa è arrivata qui un anno fa in base a una scelta di competenza esterna alla politica. “Una leadership di qualità ci vuole; lo abbiamo visto che anche alle amministrative: i cittadini chiedono affidabilità. A volte un innesto dal di fuori fa bene alla politica. Come è utile far crescere in chi fa politica direttamente una capacità di responsabilità. Ma vorrei sottolineare un punto, al di là della leadership”. Prego. “La politica è debole, non solo nel centrodestra, perché non è in grado di costruirsi nella concretezza. Concretezza, per me è la parola decisiva. Significa avere come obiettivo le risposte da dare ai cittadini. Alla richiesta di opportunità per i giovani, ai problemi posti dall’invecchiamento, per fare degli esempi. La leadership deve essere capacità di risolvere problemi, altrimenti non è”.

Tornando al Quirinale, a parte un eccesso retorico di “ci vuole una donna”, non le sembra significativo che anche per trovare un nome femminile si sia guardato a donne “non di partito”? Rientra anche questo nel discorso sulla “leadership tecnica?” “La presenza della componente femminile ha fatto passi avanti nelle professioni, nelle imprese. Invece in politica questo processo è arenato. E’ una contraddizione, se si pensa che la sinistra storica ha sempre valorizzato il ruolo delle donne più di quanto fatto a destra, eppure oggi è proprio il centrodestra a esprimere il maggior apporto femminile: Giorgia Meloni, Maria Elisabetta Casellati. Se i partiti non sapranno sviluppare le presenze femminili, giocoforza dovranno andare a cercarle fuori dal palazzo”. Quanto al resto, il problema della leadership è per Moratti più che altro un problema di competenza. “Mi rifaccio all’esempio della sanità: c’era un problema di governo territoriale, lo abbiamo affrontato. E’ di destra, di centro, di sinistra? Per me non è nulla di questo. E’ semplicemente buona politica”. Abbiamo spesso sottolineato come la visione di un Macron, ma è anche un contributo dell’esperienza di Draghi in Italia, è quello di “depoliticizzare la politica”, sottrarla allo scontro ideologico, che in questi anni ha significato populismo. “Sì, è una visione che mi trova molto d’accordo, sia pensando al percorso di Macron, sia pensando a riflessioni che leggo sul Foglio e condivido. La legge elettorale, le alleanze, il centro o la sinistra… Sono temi che non interessano alle persone. Mentre invece credo che la concretezza  sia nel Dna del centrodestra. E a proposito di leadership, credo che conti di più avere un profilo istituzionale”. In che senso? “Per la riforma ho lavorato e discusso con il ministro Speranza. Non veniamo dalla stessa cultura politica, ma abbiamo avuto l’unico obiettivo di trovare la soluzione migliore. Ecco, questo è rispettare il proprio ruolo istituzionale, prima che politico. Significa non rincorrere una bandiera, a un umore. La mia è una visione olistica della politica, è un tutto che si tiene. Torno ancora al mio lavoro. Salute, nella nostra visione, è ‘‘one health’, una concezione che tiene insieme la salute umana, dell’ambiente, degli animali. Io credo che la capacità di tenere insieme i diversi problemi vada applicata a tutta la politica. Torno a dire: è di destra, di sinistra? E’ dentro a tutto il Dna che il centrodestra ha sempre rappresentato”.

 

E’ una visione che per il centrodestra lombardo, compresa la sua esperienza di sindaco, è sempre stata il modello. “Ma non penso sia il punto più importante. Il problema non è vantare una presunta migliore capacità. Non bisogna mai trascurare che nel nostro paese ci sono tante differenze socioeconomiche, tante ricchezze di cui va fatta sintesi. E’ così per il paese ma anche per il centrodestra, il tema non è la provenienza della leadership. Torno alla parola testimonianza. possiamo mostrare una capacità di fare. La Lombardia sarà la prima regione a mettere a terra i fondi del Pnrr per la sanità, in un contesto di eccellenza ospedaliera, abbiamo ben 18 Irccs, il 40 per cento del totale nazionale. Questo dimostra che è possibile governare con concretezza, spirito imprenditoriale ed essere allo stesso tempo una comunità inclusiva. Il tema vero politico è federare, è la capacità di fare una federazione tra anime diverse ma non così differenti. Io credo il centrodestra che abbiamo ora delineato lo possa fare. Ribadisco, sono più le cose che uniscono che non quelle che dividono”.

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  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"