La lega al bivio
Tutti sulla strada del proporzionale. Salvini passerà dal populismo al popolarismo?
I partiti si rilegittimano e possono sperare in risultati importanti solo se mollano il vecchio schema andato in crisi nel 2018, centrodestra contro centrosinistra, e recuperano un’identità di governo credibile
Draghi e i partiti, strigliare sabotare fare campagna elettorale negoziare parlamentare: messa così è una sciocchezza. Mario Draghi, per incarico attribuitogli dal capo dello stato, in assenza di una maggioranza politica e in presenza di una emergenza internazionale, guida da un anno un governo di missione al quale si sono aggregati tutti i partiti tranne quello di Meloni. Non si è comportato come un capo tecnocratico, salvo lo stile che non è politicante, salvo il laconismo e una comunicazione pulita e non narcisista. Ha rispettato le geometrie parlamentari, ha gestito e amministrato e riformato nel segno dell’accordo più ampio e solido possibile, allo scopo di tenere il timone sanitario e approntare le condizioni essenziali per la grande spesa pubblica europea di cui siamo soggetti e destinatari. Non può che continuare così, con decisione e prudenza che sono le due facce della medaglia. Non fosse in grado, si voterebbe in una condizione di universale sputtanamento che non conviene ad alcuno.
Meloni ha una convenienza competitiva nel puntare a elezioni subito, costi quel che costi. Ma le sue sole forze sono poche per puntare a una riedizione stanca del bipolarismo, messo in discussione nei fatti da come è cominciata e da come sta finendo la legislatura, tra populismo fallito e riformismo problematico nella incerta stabilità europea. Tutti gli altri, che sono partiti di governo, hanno a diverso titolo, ma in un orizzonte comune, interesse a rendere produttivi e forti, utili e fecondi, i mesi che ci separano dalle politiche. Chi prende l’iniziativa? Questo è il problema. I partiti si rilegittimano e possono sperare in risultati importanti solo se mollano il vecchio schema andato in crisi nel 2018, centrodestra contro centrosinistra, e recuperano un’identità di governo credibile da spendere in un nuovo Parlamento eletto con una legge elettorale proporzionale. Non è un’operazione facile. Le leadership devono trovare una volontà e una visione che a oggi non si vedono. Ma hanno alternative plausibili?
Il prossimo Parlamento sarà una novità di sistema. Ridotto nei numeri, forse con nuovi regolamenti pro stabilità, auspicabilmente con una legge di sfiducia costruttiva (un governo cade quando ce n’è un altro pronto) che insieme alla proporzionale potrebbe essere la piccola grande riforma dei prossimi decenni. Pd, grillini, renziani e sinistra sono o dovrebbero essere già su questa strada. Il quesito maggiore riguarda la Lega, che è eminentemente Salvini e che è anche tutto il resto (ala governativa, regioni amministrate, società civile del nord). Ce la faranno i leghisti a passare dal populismo al popolarismo? La loro parabola va in questa direzione, ma non c’è niente di automatico. Che cosa possono fare i loro interlocutori politici, da Draghi, ovviamente, agli altri partiti, per incentivare e rendere possibile il passaggio? Salvini non rinuncerà mai alle chiassate propagandistiche, ciascuno ha le sue zone territoriali di retorica e ideologia, ma ha già pagato un certo prezzo di consenso nell’adeguamento della demagogia originaria a una impostazione di governo. Gli altri, anch’essi divisi all’interno ma convergenti verso l’obiettivo generale, dovrebbero aumentare gli incentivi invece di esigere pedaggi che nessuno potrebbe pagare né riscuotere. Posso sbagliarmi, ovvio, ma sembra questa l’unica costellazione politica nella quale possa brillare la grande spesa europea in infrastrutture e modernizzazioni che può sfuggirci in caso contrario, con epocale danno e disdoro.