Il discorso al Senato
Open, vince Renzi sul conflitto di attribuzione. Ma i partiti dicono sì per calcolo personale
Adesso la palla alla Corte costituzionale. Letta dà l'ok e pensa alle alleanze future del campo largo.
Solo il M5s e Leu votano contro. Tutti gli altri partiti si accodano al discorso dell'ex premier sul primato della politica contro la magistratura
Non trema l’Aula. E figurarsi l’intero Senato. Alla fine però al discorso di Matteo Renzi sul conflitto di attribuzione alla Corte costituzionale contro i magistrati di Firenze si accodano tutti, o quasi. Il Pd lo fa per convenienza di schema politico (Enrico Letta sogna e lavora per un campo largo con dentro anche Iv, altro che proporzionale, si attende un segnale su Genova). Idem la Lega perché ormai è in piena sbornia referendaria sulla giustizia (Matteo Salvini non è a Palazzo Madama, ma alla galleria Colonna a presentare il libro di Alessandro Sallusti con Luca Palamara su “Lobby e logge”).
Votano per far decidere la Consulta sull’acquisizione di alcune intercettazioni telefoniche e via WhatsApp dei pm fiorentini anche Fratelli d’Italia e Forza Italia. Il partito di Giorgia Meloni dice sì, ma ci ficca in mezzo di tutto (anche le presunte domande proibite e violente dei giornalisti ai leader politici sui figli vaccinati). Su Forza Italia nessuna sorpresa: questione di dna. Si forma dunque la larga “maggioranza 68”. Come l’articolo della Costituzione che spiega come per “sottoporre i membri del Parlamento ad intercettazioni, in qualsiasi forma, di conversazioni o comunicazioni e a sequestro di corrispondenza” serve la preventiva “autorizzazione della Camera a cui appartengono”.
Il fronte del no si salda sull’asse M5s-Pietro Grasso (Leu). E’ l’ex pm a dettare la linea ai grillini, tanto che la capogruppo pentastellata Maria Castellone quando interviene lo cita. Il grillino Gianluca Castaldi vede ancora una volta sbriciolarsi l’alleanza con il Pd, ma nega. “Qui in Senato, Letta non controlla il gruppo: sono tutti renziani”. Certo, una ridotta c’è. Ma la posizione dei dem è stata avallata dal segretario del Nazareno – solo Anna Rossomando si sarebbe voluta astenere com’era successo al Pd nel passaggio precedente in giunta delle Autorizzazioni – che guarda al mondo di Renzi in vista delle prossime amministrative e delle future politiche. Il discorso del senatore fiorentino è dritto, a viso aperto, senza scorciatoie. Pieno di titoli e soprattutto palindromo (come la giornata di ieri). Il caso Renzi letto in senso inverso per qualsiasi altro parlamentare, o semplice cittadino, non cambia di significato.
Renzi dice che “fare politica non è reato” (e ce l’ha con i pm che indagano sulla fondazione Open, con tanto di sentenze della Cassazione che gli danno ragione). Augura ai colleghi che lo ascoltano di non trovarsi mai nella sua condizione. Dice che il suo intervento non è un attacco alla magistratura – su questo passaggio Letta si era molto raccomandato, pare - e stigmatizza la pesca a strascico dei magistrati. C’è un momento Craxi sulla chiamata in correità di chi non afferma il primato della politica (effetto da rivedere). Ma in generale va giù duro il senatore di Rignano sui magistrati che “violentano vite” mettendo agli atti lettere riservate (il riferimento è alla corrispondenza con il babbo Tiziano). L’ex premier si infervora, fa vibrare il microfono, raccoglie applausi (otto). E soprattutto ottiene ciò che voleva. L’invio alla Consulta degli atti dei magistrati (caso analogo a quanto accadde all’ex capo dello stato Giorgio Napolitano). Una spremuta di politica per festeggiare gli otto anni precisi da quando Renzi diventò premier. Altri tempi.