Foto Fabio Cimaglia / LaPresse 

L'intervista

Il punto non è difendere Renzi ma il Parlamento dalle esondazioni dei pm. Parla Ceccanti

Ermes Antonucci

Per il deputato del Pd la vicenda Open è un tentativo di forzare i confini del rapporto tra i poteri. "L’articolo 68 della Costituzione, pur ridotto all’osso dopo l’eliminazione dell’autorizzazione a procedere nel 1993 ha comunque una sua forza"

"È il momento di difendere il parlamento e l’articolo 68 della Costituzione”: a lanciare questo appello, poche ore prima che il Senato decidesse di votare a favore del conflitto di attribuzione chiesto da Matteo Renzi contro la procura di Firenze per l’indagine sulla fondazione Open era stato Stefano Ceccanti, costituzionalista e deputato del Partito democratico. Proprio il Pd, dopo essersi astenuto in giunta lo scorso dicembre, ha deciso di esprimersi in aula a favore della relazione della senatrice Fiammetta Modena che solleva il conflitto di attribuzione. “Io mi sono limitato a leggere il documento e francamente la relazione mi sembra solida, sia per la questione specifica sia in chiave sistematica”, dichiara Ceccanti al Foglio. “Sulla questione specifica qui si tratta di utilizzazione di corrispondenza e su questo non si scappa sulla base dell’articolo 4 della legge 140 del 2003 che attua le garanzie di cui all’articolo 68: l’autorizzazione può essere preventiva e non solo successiva, come previsto invece per le intercettazioni. Ma ancor più, in chiave sistematica l’articolo 68 della Costituzione, pur ridotto all’osso dopo l’eliminazione dell’autorizzazione a procedere nel 1993 ha una sua forza, pur limitata a voti e opinioni espresse nell’esercizio delle funzioni nonché ad alcune forme di autorizzazione preventiva”.

 

Non si tratta di formalità di poco conto: “Queste garanzie stanno a presidio dell’equilibrio tra poteri: di fronte al potere giudiziario dotato di ampia indipendenza e autonomia sta un potere legislativo che ha frontiere che non possono essere invase, che deve avere anch’esso una sua autonomia”. 

  
Per Ceccanti, la vicenda Open richiama un analogo tentativo di forzare i confini del rapporto tra i poteri, quello avanzato dalla procura di Palermo nel 2012 contro l’allora presidente della Repubblica Giorgio Napolitano per alcune intercettazioni che lo riguardavano: “La procura di Palermo tendeva a ridurre i poteri presidenziali a un elenco tassativo, negando che essi, per poter essere esercitati, abbiano bisogno di attività informali e riservate. Insomma la procura riteneva di poter utilizzare conversazioni del presidente perché riduceva la sfera dei poteri presidenziali. Chi ha presente la sentenza 1/2013 della Corte costituzionale conclusasi in maniera netta a favore del presidente non può non vedervi un chiaro precedente, in particolare nella parte in cui si afferma che la tutela della segretezza della corrispondenza è necessariamente più forte per gli organi costituzionali rispetto ai cittadini comuni perché, dice la Corte, ‘vengono in rilievo ulteriori interessi costituzionalmente meritevoli di protezione, quale l’efficace e libero svolgimento, ad esempio, dell’attività parlamentare e di governo’”. 

 

Alle cronache sembra essere sfuggito un altro caso analogo, richiamato nella relazione della senatrice Modena: quello riguardante il sequestro della corrispondenza del senatore della Lega Armando Siri (indagato per finanziamento illecito), contenuta in uno smartphone in uso a un suo collaboratore. In questo caso la procura di Milano, facendo riferimento al terzo comma dell'articolo 68 della Costituzione, ha chiesto al Senato l’autorizzazione a eseguire il sequestro della corrispondenza di Siri. Una procedura non seguita dalla procura di Firenze. “Evidentemente – afferma Ceccanti – la procura di Firenze o non conosce l’articolo 4 della legge 140/2003 oppure ha ritenuto di dover in qualche modo neutralizzare quella disposizione ricorrendo a qualche criterio di interpretazione sistematica. Però anche una qualsiasi interpretazione sistemica che parta dall’articolo 68 porta alle stesse conclusioni. Quella disposizione di legge non è casuale, ma fa corpo con la logica di equilibrio dei poteri che nell’articolo 68 fa valere le prerogative del Parlamento”. 

 

Il cambio di rotta del Pd sul caso Open (dall’astensione in giunta al voto favorevole in aula) spinge comunque a chiedersi se alla base vi siano motivazioni meramente giuridiche e garantiste o anche di rilievo politico, ad esempio quella di dare prova di autonomia rispetto alle iniziative del M5s. “Non conosco i termini del confronto interno del gruppo del Senato – replica Ceccanti – però non è infrequente che nei passaggi da una commissione all’aula ci sia un cambiamento parziale, non un capovolgimento totale, dell’orientamento di voto. In questo caso credo sia dipeso da una richiesta di acquisizione della documentazione riguardante la genesi degli atti di indagine da parte della giunta a cui non era stato allora dato seguito”. 

 

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